Lavorare con i giovani è lavorare con i contesti.
Iniziamo con il chiederci che cosa significa essere giovani?
Chi leggerà casualmente queste considerazioni si collocherà al di qua o al di la della barriera che definisce il giovane e l'adulto.
Cominciamo dunque da questa barriera, comunemente si pensa che il giovane stia diventando adulto, e che l'adulto sia già "diventato" cioè abbia completato la crescita.
Questo processo e' chiaro per gli animali: pulcino, pollo, gallo o gallina.
L'animale è diventato quello che era in potenza nell'uovo.
Ma per l'essere umano la situazione è più complessa perché sotto certi aspetti la crescita non finisce mai.
L'essere umano è incompiuto, ed io me lo figuro sempre di più nei prigioni, scolpiti da Michelangelo, quelle statue incompiute, corpi che escono dalla materia, forme che appaiono e che scompaiono, movimenti continui come le forme nella continuità dello spazio che Boccioni ha tentato di cogliere nel bronzo.
Dunque, non posso collocarmi dal punto di vista dell'adulto perché l'adultità non è che una forma della ideologia dominante, come sosteneva Georges Lapassade [1], poi mi ricordo che in un certo periodo girava fra il movimento una affermazione: "non ascoltate quelli che hanno più di trenta anni".