(L’articolo, scritto in collaborazione con M. Abadi, J. Bleger e E. Rodrigué, è tratto dal libro “La psiquiatrìa, una nueva problematica” (1971) ed è stato tradotto dallo spagnolo da Lorenzo Sartini)
Presenteremo un breve abbozzo delle nostre opinioni sul tema “Termine dell’analisi”, come contributo per un suo miglior chiarimento.
Desidereremmo poter contare su un altro termine più esatto e corretto, che rifletta meglio ciò che realmente accade in quello che, fino ad ora, abbiamo chiamato termine dell’analisi. Questi termini che cerchiamo potrebbero essere qualcosa come culmine, esito o chiusura dell’analisi, senza che nessuno di essi ci soddisfi. Una rapporto che si impone immediatamente è quello tra termine dell’analisi e guarigione e, in questo senso, crediamo che il concetto di guarigione derivi dai criteri di termine dell’analisi e, in nessuna maniera, anticipiamo nulla se definiamo quest’ultimo avvalendoci dell’altro.
Il termine dell’analisi è la finalizzazione di un ciclo che deve essere collocato e compreso nella stessa maniera delle finalizzazioni degli altri cicli dello sviluppo. Ciò che realmente termina è la situazione analitica, poiché l’operazione analitica si internalizza come processo interno, in tal modo che potremmo dire che l’analisi termina quando si è fatta internamente interminabile. In altri termini, quando si è prodotto un arricchimento del mondo interno, con diminuzione della quantità di ansie e quando l’io non utilizza le sue energie per paralizzare e dominare queste paure, ma le risolve nella gestione della realtà interna ed esterna, cioè quando si è prodotta un’organizzazione delle ansie, una gestione delle paure con senso di realtà.