Prologo
Quando Pichon-Rivière introduce la sua nozione di vincolo a quattro movimenti di andata e ritorno tra i soggetti – le quattro vie di cui il vincolo é fatto –si accorge che c'é sempre qualcuno che osserva quei movimenti; e afferma con un certo stupore, che sembrava importante riconsiderare l'introspezione in quanto metodo di ricerca per il chiarimento del vincolo interno.
Nel riconsiderare l'introspezione (l'autoossevazione), Pichon-Rivière ci parla di fatto di un'altra introspezione, perché l'osservatore che egli vede non guarda l'oggetto ma il va e vieni specifico o particolare che si stabilisce tra oggetto e io del soggetto:
“La introspección es en realidad un diálogo interno con unobjeto que trata de esclarecer no tanto el objeto en sí sino el vínculo particular que ese objeto establece con el yo del sujeto”(1).
Egli guarda come si rispondono o si parlano le due persone coinvolte nella organizzazione del vincolo e che, mano a mano che si parlano e si rispondono, lo costruiscono.
Da tutto questo transitano sfaccettature manifeste e latenti. Nella riconsiderazione dell'introspezione di Pichon-Rivère c'è un salto in cui è coinvolto il cambiamento di episteme al cui centro c'è un osservatore incluso nel processo che produce effetti nella stessa idea di realtà e del senso stesso di processo.
La “riscoperta” del controtransfert negli anni '50 partecipa a quel cambiamento e diventa il “punto incandescente” da cui osservare il processo analitico che via via emerge più come un vincolo privato tra due persone che una situazione in cui un individuo osserva l'altro. Nel processo si va via via precisando il lavoro di osservazione in quanto funzione che si va differenziando nel gioco che si produce tra orientamento clinico, teoria e tecnica.