Lavorare con i giovani è lavorare con i contesti.
Iniziamo con il chiederci che cosa significa essere giovani?
Chi leggerà casualmente queste considerazioni si collocherà al di qua o al di la della barriera che definisce il giovane e l'adulto.
Cominciamo dunque da questa barriera, comunemente si pensa che il giovane stia diventando adulto, e che l'adulto sia già "diventato" cioè abbia completato la crescita.
Questo processo e' chiaro per gli animali: pulcino, pollo, gallo o gallina.
L'animale è diventato quello che era in potenza nell'uovo.
Ma per l'essere umano la situazione è più complessa perché sotto certi aspetti la crescita non finisce mai.
L'essere umano è incompiuto, ed io me lo figuro sempre di più nei prigioni, scolpiti da Michelangelo, quelle statue incompiute, corpi che escono dalla materia, forme che appaiono e che scompaiono, movimenti continui come le forme nella continuità dello spazio che Boccioni ha tentato di cogliere nel bronzo.
Dunque, non posso collocarmi dal punto di vista dell'adulto perché l'adultità non è che una forma della ideologia dominante, come sosteneva Georges Lapassade [1], poi mi ricordo che in un certo periodo girava fra il movimento una affermazione: "non ascoltate quelli che hanno più di trenta anni".
Per questo non ascoltare quelli che avevano più di trenta anni significava fare come Pinocchio [3], prendere a martellate il grillo parlante e seguire la propria strada.
Tutto questo venne chiamato da "quelli che avevano più di trenta anni" ribellione edipica. I figli che si ribellano, rifiutano la legge del padre fino a fare esplodere l'ordine simbolico dominante con la pratica de l'"imagination au pouvoir".
Perché rifiutare la legge del padre? Perché scardinare l'ordine simbolico?
Se questo lo fa un singolo, diventa una linea di fuga, una deterritorializzazione [2] che sovverte l'ordine famigliare, sociale, istituzionale e comunitario e diventa un flusso decodificante che buca la semiosi dominante con la forza di un proiettile.
Ma queste vite che immaginano se stesse e seguono i flussi della produzione desiderante si spingono troppo avanti e non hanno la capacità di essere comprese, forse alcuni artisti: Rimbaud, Campana, le avanguardie, sono riusciti a trascrivere alcune forme di un nuovo codice semiotico di una legge senza padre, di un essere umano incompiuto.
Di più di loro sono state le seconde avanguardie, Ginzberg, Burroughs, Corso, già avevano percepito che "The Times They Are a-Changin" come cantava Bob Dylan e quando l'esplosione è diventata collettiva non c'è stata più "trippa per i gatti".
Non era più il singolo schizofrenico, il geniale Artaud della situazione a contestare la Legge del padre. Erano moltitudini in tutto il mondo,dal Giappone al Messico, da Berkley a Pretoria, da valle Giulia al quartiere latino, da Pechino a Praga.
Quando l'onda partiva dalla piazza delle tre culture a Mexico e passava a Rimini, sempre alta, bisognava avere gli anni giusti per cavalcarla e sentirne la forza e la potenza del cambiamento.
Che c'entravano i giovani ed i vecchi? Non era certo un problema di anagrafe, basta vedere Ungaretti alla contestazione del festival del cinema di Venezia.
Allora cosa significa oggi questo discorso? Come sempre significa essere in sintonia con l'onda, con il movimento.
Stiamo assistendo ad un periodo di “rappel a l'ordre”, si dice che il '68, la globalizzazione, il capitalismo hanno distrutto i valori.
Alti lai si levano per ricordare in vario modo i tempi passati, i giornali, i libri, i media in genere si riempiono di “laudatores temporis acti”, come avrebbe detto Orazio.
Sono vecchi che rimpiangono " sue pueri"quando erano piccoli, o come era bello il piccolo mondo antico.... Idiozie su cui non varrebbe la pena di tornare se non per il fatto che queste nostalgie del passato, da sempre legate al pensiero conservatore, ora ritornano trasfigurate da filosofi della sinistra come Slavoy Zizek [5] e nella versione italiana da psicanalisti come Massimo Recalcati [4].
Che cosa dicono? Mi concentrerò di più sul pensiero di Recalcati e su quello che lui chiama "complesso di Telemaco" che sostituirebbe in questo tempo il "complesso di Edipo".
In sostanza, mentre il "sessantottino"Edipo si ribella contro il padre e lo uccide, come nel mito, e poi si ritrova senza legge a praticare l'incesto con la madre, Telemaco non ha la forza per ripristinare la legge del padre, è invaso dai proci ed aspetta il ritorno di Ulisse. Dunque, non vuole uccidere il padre ma vuole attivamente il suo ritorno per ripristinare la sua legge.
La condizione del "giovane" oggi per Recalcati, sarebbe visivamente rappresentata da Telemaco che aspetta sulla spiaggia il ritorno di Ulisse.
Ma questa immagine mi appare la riproposizione di una ideologia sorpassata sotto una nuova forma.
Come negli anni venti quando alcuni artisti dopo il dada tornarono al figurativo.
Vediamo più nel dettaglio. E' vero che il combinato disposto delle esigenze dei flussi del capitale e la produzione desiderante hanno de-costruito le barriere che esistevano nel pianeta.
Qualsiasi limite è stato superato. Le comunità, gli stati nazione, le forme famigliari e sociali persino l'individuo e il suo corpo, la differenza sessuale, il modo di nascere la forma delle relazioni ogni limitazione è stata tolta, ciò che si può fare tecnicamente si fa.
E' un male? E perché? Forse perché così l'insieme dei significanti non si chiude più con un significante principale.
Come diceva Lacan [6], il significante che dà il significato a tutto e dà ordine al caos.
Quel significante vuoto, che lui chiamava "il fallo", istituiva la legge la cui accettazione si lega alla accettazione del grande Altro che non siamo noi ma l'insieme delle regole di comunicazione.
Ma, io penso, che questo Altro generalizzato, come lo chiamava George Mead, o Super io, come lo chiama Freud non sia un totem, ossia non credo che la legge provenga da un Sinai qualsiasi, e qualunque forma essa abbia: voce esterna al soggetto, scrittura su tavola ecc.,essa non è la materializzazione di uno
"spirito" trascendente, qualunque esso sia.
Si tratta, invece, del codice del gruppo sociale che da implicito diviene esplicito, niente di trascendente, il codice non è la scrittura della voce di dio ma il diventare esplicito delle regole che il gruppo ha prodotto.
Prendere coscienza di questo significa rendersi conto che non c'è immutabilità nella Legge, e che qualsiasi rapporto fra un segno ed un referente che configura un codice simbolico è assolutamente arbitrario, come ci dice Peirce [7], ed è un prodotto dalla comunità che utilizza quel codice.
Non è il codice che produce la comunità ma la comunità che produce il codice.
Detto questo, si può capire che io sono convinto che vi sia una dinamica sociale che non è rappresentata da un conflitto giovani/adulti ma dal conflitto fra un aspetto istituente ed uno istituito della società, come diceva René Lourau [14].
Spesso i conservatori confondono l'istituzione con l'aspetto istituito, per questo sono portati a pensare che il "movimento" sia contro l'istituzione.
Questo pensiero è specularmente ripreso da chi pensa che la vera forza del movimento sia quella di non farsi ingabbiare dalle istituzioni, e così si produce una "guerra permanente" che si basa sull'equivoco di cosa sia una istituzione.
Una istituzione è un processo permanente e dialettico fra un aspetto istituito ed uno istituente.
Qualsiasi istituito: legge, mondo simbolico, produce un istituente, perché a sua volta prima di istituirsi è stato istituente.
Pensiamo, a titolo di esempio, al mito freudiano di Totem e Tabù [8]: Freud ci parla di un possibile raggruppamento primitivo di esseri umani, descritto da Darwin, in cui un capo tiene per sé tutte le femmine ed allontana i competitori. Mantiene il potere con la forza, infatti, quando diventa debole,
viene sconfitto da un altro, che prende il suo posto e assume il ruolo di comando del gruppo.
Questo è un codice sociale istituito.
Il racconto mitico di Freud, poi, come è noto, ipotizza la possibilità di una coalizione dei fratelli che porterebbe alla uccisione del padre, che sarebbe stato divorato e così si sarebbe istituita un altra forma di organizzazione sociale: l'orda. L'istituzione sarebbe dunque una dialettica fra il tiranno e l'orda.
Per Freud, poi, la Legge del padre ritornerebbe a istituirsi sotto la forma di legge del totem, cioè la voce del padre ucciso sentita collettivamente, espressione del senso di colpa ad anche di un desiderio di ordine, diventerebbe la Legge.
Così nascerebbe il simbolico che, come ho cercato di dire, non è niente altro che l'esplicitazione delle regole di convivenza che quel gruppo si è dato.
Quando le regole si istituiscono quell'istituito fa nascere un nuovo istituente.
Se si perde questa dinamica la società si istituzionalizza ed allora il fine delle relazioni sociali non è più il bene comune ma la riproduzione degli istituiti e dei rapporti di potere.
Tornando a noi, il padre e la sua legge ha rappresentato, nell'occidente ma non solo, ovunque c'erano le società basate sul potere del padre, una forma istituita dei rapporti sociali che produceva una forza istituente che non ha mai trovato la forza di istituirsi.
Detto di passaggio, il padre è una invenzione. Ci sono state società che non conoscevano il padre come ruolo sociale, società che non collegavano la nascita dei figli con la sessualità, come ha mostrato B. Malinowski [13].
Questo significa che la paternità non è un fatto naturale, è una funzione sociale che è cambiata nel corso della storia ed è diversa a seconda delle culture del pianeta.
Dunque, perché questi alti lai per la scomparsa di questo padre autoritario "spaccamaroni" che sarebbe la Legge oramai dispersa di cui si aspetterebbe il ritorno dal mare per scacciare i proci e ripristinare l'antico potere?
Un insieme di nostalgie masochistiche.
Il problema attuale è totalmente un altro.
Potrei raffigurarlo in questo modo: la velocità di cambiamento ed interconnessione delle parti separate del pianeta è enormemente aumentata negli ultimi venti anni. Questo processo molto complesso è stato chiamato globalizzazione.
Questo processo include una mutazione antropologica radicale. Già Pier Paolo Pasolini, ancora negli anni '70 del '900 parlava di mutazione antropologica [9] della scomparsa del sottoproletariato di origine contadina e dell'avvento di una mentalità piccolo borghese dominante.
Lui parlava dei dialetti sostituiti dall'italiano della televisione, ma parlava dell'Italia.
La globalizzazione interessa tutto il pianeta e produce nuove soggettività che non si adattano a nascere vivere e morire nello stesso territorio.
L'esistenza di un altro spazio che prima il cinema, poi la radio e la televisione hanno solo mostrato, è stato reso accessibile da internet, per lo meno per un avatar, e questa possibilità, ha fortificato il desiderio di fuga da un territorio avaro e già stratificato dal potere verso uno spazio immaginario in cui si proietta l'ideale dell'io che sostiene lo stato di coscienza modificato del migrante.
Perché è in uno stato di transe [11] che uno può sopportare le sofferenze di attraversare il deserto, buttarsi su un gommone, vedere morire i propri simili e pensare di sbarcare su una spiaggia per riaccendere il telefonino e connettersi con gli amici a Stoccolma ed avere indicazioni di dove trovare un internet point e mandare informazioni alla rete famigliare ed amicale.
Questa nuova umanità deterritorializzata, che si sta producendo sotto i nostri occhi è anche fatta di migranti dalla propria famiglia, deteritorializzazioni fai da te, secessioni dai valori dominanti di competizione e responsabilità alla ricerca invece di cooperazione e solidarietà, magari chiudendosi al mondo circostante e vivendo come avatar, nel cyberspace.
Gli hikikomori giapponesi, che si chiudono in casa e non escono più, sono migranti dal territorio in cui devono essere inseriti, migrano dal ruolo che il sistema sociale gli assegna, se ne vanno a vivere nel cyberspace.
Questa migrazione è la cifra della modernità, siamo tutti migranti, instabili, precari, senza punti di riferimento. In questo senso viviamo tutti un "ver sacrum" non solo i giovani al di sotto dei venti anni.
Cioè siamo costretti a migrare per trovare un nuovo spazio, una nuova socialità un nuovo stare comune, un nuovo codice che necessariamente dovrà comprendere tutto il pianeta.
A fronte di questa migrazione moltitudinaria, il potere istituito di questa immaginaria "società degli adulti" è ossessionato dal controllo. Deve ricodificare e riteritorializzare e per questo entra nei mondi della vita prescrivendo comportamenti "giusti"e punendo quelli "sbagliati".
Quali sono i comportamenti giusti?
Quelli che non creano problemi allo status quo, quelli che non disturbano chi comanda, quelli che non pensano e obbediscono agli ordini. Dunque, se la rete permette l'accesso a qualsiasi informazione in tempo reale, il problema per il potere non è: diamo a tutti la possibilità di accedere e riduciamo a zero il
digital divide. No, la discussione diventa su come riconoscere l'informazione giusta da quella sbagliata, la vera dalla falsa e così via. Fino a prospettare una censura della rete o una chiesa di interpreti "autorizzati".
Autorizzati da chi?
Chi deve dire questo è bene e questo è male?
Ricordo che la riforma protestante si accompagnò all'invenzione della stampa a caratteri mobili che portò alla diffusione della Bibbia tradotta in tedesco da Lutero. La interpretazione della Bibbia non era più legata al clero.
Era libera.
Il dibattito sulla informazione in internet ricorda questo antico ma sempre attuale problema di libertà.
I giovani sono sempre quelli che devono essere tutelati da interpretazioni erronee, cosi l'accesso al sapere è semplicemente un potere di censura di una classe di burocrati che si mantiene sulla ignoranza altrui.
Credo che Prometeo fosse giovane quando rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini.
Questo è sempre quello che dobbiamo fare con l'attenzione di non "donare le perle ai porci".
Cioè, quel fuoco di conoscenza deve arrivare là dove c'è il desiderio di conoscere e di apprendere, questo è ciò che ci si aspetta da una istituzione o da chi sa: la capacità di capire il timing con cui dosare l'informazione.
Perché questo è il problema, il conflitto centrale di questa contemporaneità: da una parte c'è la possibilità di accedere al cyberspace e a tutta l'informazione circolante, dall'altra non esiste il cybertime, quindi non c'è il tempo per leggere e per elaborare tutta quella informazione, come dice Bifo [10].
Sono i tempi in cui domina una bulimia informativa che non permette in alcun modo l'elaborazione delle informazioni, la mancanza di elaborazione si trasferisce in azioni senza pensiero che costituiscono la cifra del contemporaneo. Questo è il vero problema che sembrerebbe insolubile ma invece è la chiave per accedere alla nuova forma di socialità.
Nel passato era in primo luogo la famiglia, e poi le compagnie di amici, a costituire lo spazio affettivo che permetteva l'elaborazione delle informazioni che arrivavano dall'esterno e la possibilità di trasformarle in uno schema di riferimento concettuale ed operativo personale, ora, come si è detto, l'eccesso di informazione proveniente dall'esterno o da quell'interno/esterno che sono i media non ha un contenitore cognitivo/affettivo adeguato per potere essere elaborato/digerito.
Si dice che un bambino ha appreso più parole da una macchina, come la televisione, che dalla propria mamma. Questo cambiamento, come si è detto, porta alla riduzione dello spazio del pensiero, le informazioni non diventano uno schema concettuale ed operativo personale, basato sulla esperienza ma vengono agite, così come sono, senza intermediazioni e senza pensiero. Agiti psicopatici.
Ma, se non esiste il cybertime per l'individuo, esiste il gruppo, esiste cioè la possibilità che un gruppo o più gruppi possano elaborare le informazioni e farle proprie [12].
E' questo il passaggio importante: è necessario, promuovere, favorire, aiutare la produzione e la moltiplicazione di piccoli gruppi che si prendono del tempo per pensare, per elaborare le informazioni e farle proprie creativamente.
Sto parlando di gruppi reali, che possono partire anche da incontri virtuali, ma poi hanno la necessità di vedersi, di toccarsi, di mettere in gioco i corpi attorno ad un compito di apprendimento o di gioco. O di cura [15].
Questi incontri e queste peregrinazioni dal virtuale al reale e viceversa sono l'aspetto creativo della situazione attuale, ed è in questi passaggi che si inserisce il controllo biopolitico.
Infatti, il potere cerca in tutti i modi di controllare ciò che avviene: tutto deve essere ricodificato secondo un codice di dominio prescritto dagli algoritmi del capitale [18] che hanno come scopo l'accumulazione e non il bene comune.
Ad esempio: se una persona di 19 anni passa 8/10 ore del suo tempo sulla rete per navigare, giocare, costruire relazioni, immaginare altre realtà, cioè impiega il tempo per sé, si comincia a parlare di psicopatologia, di dipendenza dalla rete e così via.
In realtà, quello che si teme è lo spreco del tempo, la “depense”, come diceva Bataille [16], il tempo invece in questa società non può essere sprecato, deve essere venduto, per cui una agenzia o qualche algoritmo sotto qualsiasi forma, convincerà la persona a vendere 8/10 ore del suo tempo ad un call-center di
una multinazionale dove il suo tempo alienato servirà per aumentare la rete di relazioni, di finte amicizie, della multinazionale. In questo caso nessuno parlerà di dipendenza, niente psicopatologia, tutto rientra nella forma del controllo biolpolitico.
Di nuovo, dunque, si tratta di promuovere usi per sé e collegare fra loro queste isole della rete fuori dal controllo [17], perché in questo modo, e non solo così, si lavora per costruire una comunità che viene e non per riproporre nostalgicamente realtà superate o leggi di padri autoritari che fortunatamente appartengono al passato.
Se non ci si orienta al futuro si rischia il fondamentalismo, la riproposizione di vincoli comunitari di territorio e di sangue sotto forma di folklore, quando va bene, o di malattia mentale collettiva come forma di resistenza al cambiamento, accompagnate da violenza ed intolleranza.
Invece, l'orizzonte è fatto di gruppi operativi che passano dal virtuale al reale, lavorano attorno ai compiti che si sono dati ed utilizzano un metodo ricombinante, cioè mescolano assieme elementi di diverse culture, di diverse ideologie senza giustapporle. Non si tratta di favorire eclettismi o sincretismi di nessun tipo ma di permettere, attraverso una forma di epistemologia convergente, l'emergere creativo delle nuove forme di socialità e di vita comune per il momento attuale del pianeta.
Bibliografia
1) G. Lapassade, "Il mito dell'adulto", Guaraldi
2) G. Deleuze, F. Guattari, "Millepiani", Utet
3) C. Collodi, "Pinocchio"
4) M. Recalcati, "Il complesso di Telemaco", Feltrinelli
5) S. Zizek, "Organi senza corpo", La scuola di Pitagora
6) J. Lacan, "Scritti", Einaudi
7) C. S. Peirce, " Opere", Bompiani
8) S. Freud, "Totem e Tabù", Boringhieri
9) P. P. Pasolini, "Scritti corsari", Garzanti
10) F. 'Bifo' Berardi, "Mutazione e Cyberpunk", Costa & Nolan
11) L. Montecchi, "Officine della dissociazione", Pitagora
12) L. Montecchi, "Varchi", Pitagora
13) B. Malinowski, "Il padre nelle psicologie primitive", Rizzoli
14) R. Lourau, "L'analyse institutionnelle", Éditions de Minuit
15) A. J. Bauleo, "Psicoanalisi e gruppalità", Borla
16) G. Bataille, "La parte maledetta", Bertani
17) K. Kelly, "Out of control", Apogeo
18) M. Pasquinelli, "Gli algoritmi del capitale", Ombrecorte