Agli inizi degli anni '40 Enrique Pichon-Rivière si trovò ad affrontare una serie di situazioni problematiche lavorando nell'ospedale Las Mercedes di Buenos Aires. Dapprima organizzò gruppi con infermieri per migliorare la loro professionalità; in un secondo momento, in seguito a uno sciopero del personale dell'ospedale, realizzò una esperienza di gruppo con i malati meno gravi o in via di guarigione per permettere loro di seguire quelli più gravi. Entrambe le esperienze si rivelarono fruttuose e teoricamente interessanti. Così, da questa situazione contingente, il Gruppo Operativo nasce in Argentina per opera di Pichon Rivière con il compito concreto di organizzare l’assistenza dei pazienti dell' ospedale. La sua teorizzazione sarà poi approfondita dai suoi allievi Josè Bleger e Armando Bauleo e alla fine degli anni '60 si diffonderà in tutta l'America latina (Uruguay, Brasile e Messico) e poi dalla metà degli anni 70 in Europa (Italia, Spagna, Francia e Svizzera).
Diciamo che è il compito che istituisce il gruppo, nel senso che un insieme di persone è considerato gruppo perché c'è un compito che li unisce. Se delle persone si riuniscono è perché vogliono sviluppare un certo compito. È proprio il compito che permette il passaggio da un insieme di persone a una struttura gruppale. È interessante che questo compito che può sembrare all'inizio un elemento completamente esterno, oggettivo, formale, poco a poco non è più così distante, riguarda le motivazioni di ognuno dei partecipanti e, nello stesso tempo, è ciò che permette le trasformazioni che il gruppo vive. È in questo senso che diciamo che il compito non solo istituisce, ma anche costituisce il gruppo. Quando le persone arrivano a un gruppo, ognuna di loro porterà una propria idea del compito; non solo del compito, ma anche su che cosa è un gruppo e di come lavorare nel gruppo. Queste tre idee sono le tre fantasie di base in qualsiasi gruppo, sono le idee che cominciano a confrontarsi nel passaggio da insieme a struttura gruppale. Ma da dove provengono queste idee? Vengono dagli altri gruppi che ognuno ha attraversato, vissuto: nessuno va a un gruppo senza avere idea di che cosa sia.
Possiamo dire che la nostra vita passi «attraversando gruppi», a partire dal gruppo familiare. Quando dunque le persone arrivano al gruppo, ognuna porterà una propria idea di gruppo, di compito e del processo per sviluppare questo compito. n gruppo inizia allora con tanti monologhi, ognuno porta le sue problematiche e le sue esperienze. Non si ascolta, ma si portano informazioni da fuori, l'altro ancora non esiste. Diciamo che ognuno dei membri del gruppo si presenta con il suo schema di riferimento precedente.
Per schema di riferimento (E.C.R.O.) Pichon-Riviere intende non solo le conoscenze teoriche che si posseggono, ma anche la possibilità di metterle in gioco o di «strumentare» certe emozioni che sono legate a queste informazioni e a queste esperienze; vuole sottolineare che i concetti contengono dentro di sé l'emozione che suscita il campo dell'esperienza.
Possiamo rappresentarci la situazione iniziale come un insieme di persone che non sembrano condividere niente, isolate con un proprio schema di riferimento, un legame con il fuori del gruppo e le proprie tre idee di base. n compito è ciò che può permettere a questo insieme di trasformarsi in gruppo. Ma questo passaggio non è un passaggio diretto, né unidirezionale, ma indiretto e tortuoso. A volte, durante il percorso, il gruppo tornerà indietro alla situazione di insieme: il gruppo giocherà cioè sempre un via vai tra le due posizioni. In questo passaggio cominceranno a confrontarsi le tre fantasie di base e gli scherni di riferimento individuali per poter lavorare sul compito. Ben presto diventa evidente che il singolo schema non è sufficiente a portare avanti il compito gruppale. In questo passaggio lo schema subisce dei cambiamenti, soffre una specie di rottura. Da questo confronto nasce la possibilità che a un certo punto ognuno degli «integranti» possa modificare il proprio schema di riferimento, cioè offrire e ricevere dagli altri informazioni, stabilire una serie di scambi affettivi che portino alla costituzione di uno schema di riferimento attuale in comune.
Questo processo si accompagna con un certo tipo di ansie e di sentimenti. C'è un momento in cui ognuno si chiede cosa ci sta a fare lì, perché sta lì, chi sono gli altri. C'è una fase di confusione, come l'ha chiamata Bleger, quando si rompe il vecchio schema di riferimento e non se ne costituisce ancora uno nuovo. È il momento in cui ci si comincia a chiedere sul rapporto con gli altri, la propria immagine rispetto agli altri, perché si è là. Momento molto difficile per il gruppo, perché è il momento in cui emerge la motivazione verso il compito e il gruppo; è il momento in cui alcuni abbandonano. Situazione difficile, ma imprescindibile che si ripete ogni volta che si cerca di risolvere conflitti tra i membri e rispetto al compito. Perché succede questo? Perché un integrante del gruppo a un certo punto non sa dove si trova? Qual è il problema? Bleger diceva che, se una persona non passa attraverso uno stato confusionale, non c'è apprendimento, non c'è cambiamento. Invece tutti desiderano apprendere e cambiare senza passare attraverso questa fase. E Bion aggiunge che ci si rifiuta di apprendere dall'esperienza, si pensa cioè di cambiare senza sofferenza e fatica, si fantastica un apprendimento per istinto.
Per poter portare avanti il compito c'è bisogno dell'altro; piano piano ne appare la percezione, si comincia ad ascoltare l'altro, dal monologo si passa al dialogo; in questo momento appare la delusione, la rottura di una situazione narcisistica. Ci si rende- cento che nessuno può portare avanti il compito da solo, ma che esso 'è gruppale. Il compito richiede cioè al gruppo una certa organizzazione per essere elaborato. Per poter fare questo gli schemi di riferimenti degli integranti devono essere «rotti» per poterne costruire uno in comune. Ma questo schema attuale non è lì già pronto, deve essere prodotto, è un prodotto'elaborato dal gruppo. Solo da una posizione dogmatica si può credere che lo schema di riferimento si possa dare bello e pronto.
Il fatto è che la gente è fatta di affettività, di sentimenti e quando si rompe lo schema di riferimento, si muove molta affettività che è necessario poter elaborare perché vada a far parte dell'informazione dello schema di riferimento attuale:Il processo di costituzione di uno schema di riferimento in comune richiede di un tempo e di uno spazio all'interno del quale poter sopportare la confusione. Dichiarare di aver capito tutto subito, di sapere già tutto, è solo sintomo di pregiudizio, di difficoltà a cambiare il proprio schema di riferimento.
Questo gioco di interazione tra di loro comincia a prefigurare la struttura gruppale, una organizzazione che va al di là dei soggetti del gruppo.
Parlando di struttura si sta facendo un' astrazione. La struttura gruppale è una foto, un momento, un istante del processo gruppale. La struttura gruppale in realtà non esiste, quello che esiste è il processo gruppale. La struttura è il ritaglio che facciamo in un determinato momento per osservare il processo.
In questa foto possiamo individuare un manifesto e un latente.
Manifesto e latente indicano che ci sono cose che saranno dette e cose che non saranno dette. Per manifesto si intende tutti quegli elementi che possono essere captati attraverso i sensi, cioè i gesti, le parole i movimenti ecc.
Nella concezione operativa si usa questo termine, derivato dallo spagnolo, per denominare quelli che, in altre concezioni. vengono chiamati membri del gruppo.
Chiamiamo latente di un gruppo tutta la rete di interruzioni, di interinfluenze, di intercroci, di identificazione e transfert mutui. Il latente si osserva negli interstizi, è cioè l'altro senso del gruppo, segnala una certa organizzazione libidica., un certo tipo si sentimenti e di ansie che producono degli effetti nel processo gruppale.
Il gruppo comincia a funzionare al di là delle presenze individuali. Quando la struttura gruppale si costituisce appare quella che si chiama la pelle del gruppo. Il gruppo organizza a un certo punto una frontiera immaginaria che pennette una distanza tra il dentro e il fuori.
Questa funzione di contenimento che il gruppo ha, permette ai suoi membri una distinzione tra identità gruppale e ciò che non appartiene al gruppo. Si costituisce cioè un segreto e un codice gruppale. Il segreto segnala che si sono stabilite relazioni immaginarie che andranno protette dalla collettività e dall'individualità.
Si parla di codice gruppale quando si assiste al passaggio dall' io al noi. Non bisogna dimenticare che il codice gruppale è doppio, sia verbale , sia di azione; nel gruppo non solo si parla, ma si agisce, non c'è solo l'ascolto, ma anche lo sguardo.
E i due codici nel gruppo interagiscono tra di loro. Vogliarno dire che il gruppo funziona a due livelli: quello tematico e quello dinamico, mentre la parola dà forma al primo, l'emozione e l'azione riguardano il piano dinamico.
Il processo gruppale si pone nel gruppo operativo come una spirale dialettica. L'immagine della spirale dialettica era servita a Pichon-Rivière per rompere l'idea di linearità presente nelle varie concezioni sui gruppi, con un prima e un poi, un idea di tappe successive da affrontare e superare.
Pensiamo che il gruppo presenti momenti in cui affronta e risolve la conflittualità rispetto al compito e momenti di difficoltà e resistenza che si presentano al gruppo come insormontabili.
Questi momenti di resistenza sono legati alla difficoltà di cambiare, perché il cambiamento fa presupporre mutamenti nella identità personale e professionale degli integranti. Le resistenze presentano due aspetti: possono essere di natura razionale e informativa e si chiamano ostacoli epistemologici possono essere di natura emotiva e prendono il nome di blocchi affettivi.
In determinate situazioni per esempio il gruppo non riesce a risolvere certe problematiche perché manca un certo tipo di informazione. Parliamo invece di ostacolo affettivo quando certe problematiche legate all'informazione non possono essere affrontate perché ci sono conflitti affettivi precedenti, non elaborati, che necessitano di essere elaborati dal gruppo. Il gruppo per risolvere aspetti del compito dovrebbe fare certe modifiche, sia nei canali di comunicazione, sia nel codice, sia nelle relazioni interpersonali, sia perché ha bisogno di più informazioni.
Si presentano cioè una serie dì problemi tra il manifesto e il latente del gruppo che incomincia a bloccarsi. Il massimo della resistenza al cambiamento si ha quando metà del gruppo è assente e metà è presente. Tutto il gruppo (sia i presenti, sia gli assenti) è al massimo della resistenza al cambiamento. Questa situazione non va cioè affrontata moralmente, ma bisogna pensare che cosa sta succedendo al gruppo che si trova diviso in due, che ostacoli ha incontrato perché si presenta con questa organizzazione; quale conflitto ha spaccato il gruppo in due.
Quando una situazione si cristallizza ci troviamo di fronte allo stereo tipo. Lo stereotipo è il nemico centrale del gruppo perché rende impossibile uscire da una situazione e blocca il processo gruppale.
Lavorare sulle resistenze significa elaborare le ansie che sono connesse alle resistenze stesse.
Abbiamo già parlato dell'ansia confusionale che si presenta ogni volta che il gruppo si trova a rompere modelli precostituiti (strumenti precedenti). Dobbiamo qui sottolineare che si tratta di un'ansia situazionalmente legata alla rottura degli stereo tipi e di un tipo di pensiero, e non della confusione patologica.
Pichon-Rivière dice che si manifestano due tipiche ansie. L'ansia persecutoria o paranoide emerge quando ci troviamo in situazioni nuove senza strumenti adatti per risolverle. La fantasia è quella di essere rimasti nudi di fronte agli altri e alla situazione, in quanto si ha l'impressione di aver perso quegli elementi che sono alla base della propria identità. «Perché mi ha detto questo?» «Perché è successo questo?» Si stabilisce un clima di opposizione, di guerra. Si cerca di individuare chi è buono e chi è cattivo, chi è nemico e chi è amico.
È il momento in cui si formano sottogruppi che sembrano contrapporsi inevitabilmente, si è perso il vecchio schema di riferimento e non si è ancora sufficientemente internalizzato il nuovo. Il sentimento è di impoverimento. Si sente dire nel gruppo: «Ho perso la mia libertà...Non mi sento come prima». È un momento transitorio che segnala proprio questo passaggio.
In realtà il gruppo sta lavorando per rinforzare la propria identità; ma in un primo momento si sente un sentimento di perdita (ansia depressiva).
«Mi sento senza difese». «Mi possono attaccare facilmente» «Mi sento completamente alla mercè di...».
Quando si crea un minimo di internalizzazione incomincia cioè ad apparire un elemento di depressione, tristezza, riflessione. Alla paura dell'attacco subentra la paura della perdita nel senso che emerge un sentimento depressivo per la perdita del vecchio schema di riferimento. E allora si comincia a sentire: «lo che credevo di sapere tante cose!» «Una volta ero felice e ora...». Emerge cioè un sentimento di nostalgia, di perdita, di tristezza.
Quando questi sentimenti cominciano a mettersi in gioco possiamo dire che il gruppo comincia a funzionare. Il gruppo non funziona bene quando non presenta alcun sentimento, ma quando ha la possibi1ità di elaborare le ansie presenti, quando si possono dare le condizioni per la elaborazione di questi sentimenti. Nello stesso tempo il gruppo si rende conto che c'è un compito manifesto in comune che ha bisogno di un tempo e di uno spazio per poter essere affrontato. Ma mentre si assiste alle trasformazioni rispetto al compito, si verificano anche cambiamenti rispetto alle relazioni tra i membri del gruppo, cambiamento che si presenta come un vero e proprio apprendimento.
Ogni integrante del gruppo deve imparare a riconoscer:e l'assunzione e assegnazione dei ruoli, il loro scambio, il conseguimento di un ruolo adeguato perché il gruppo lavori sul compito, un ruolo diverso da quello che ogni membro di solito agisce all'inizio dell'esperienza. Ognuno deve affrontare e interpretare un ruolo che concordi con gli altri presenti nel gruppo e con il compito. Un ruolo che non si presenti, però, come atteggiamento passivo verso la situazione, ma come correlazione con la realtà, adattamento attivo ad essa. L'imparare a pensare si veicola attraverso la capacità dei membri di cambiare il proprio ruolo, variare le aspettative, adottare atteggiamenti diversi da quelli che gli provengono dai propri gruppi precedenti.
Questo passaggio dal gruppo interno primario all'internalizzazione del gruppo attuale presenta sia elementi razionali sia elementi affettivi. In sintesi, nel Gruppo Operativo i ruoli si strutturano in funzione dei meccanismi di assunzione e assegnazione dei ruoli, tenendo conto del legame tra mondo esterno e mondo interno, sono cioè «funzioni contestuali interdipendenti» (Bauleo).
Se all'interno del gruppo ognuno gioca diverse funzioni significa che i ruoli possono ruotare, nessuno si fa carico sempre della stessa posizione. Il problema sarà come mantenere il codice attivo perché questi ruoli possano cambiare. La maggiore difficoltà riguarda lo stereotipo. Stereotipo significa assumere sempre lo stesso ruolo o comportamento malgrado le diverse situazioni.
Per Pichon-Rivière questa è la malattia; la salute non è l'assenza di sintomi, ma la possibile combinazione dei ruoli, a seconda della situazione.
Mentre il gruppo continua il suo processo anche il compito soffre dei cambiamenti. In che senso cambia il compito? A poco a poco il compito che è stato l’elemento iniziale per il quale ci si è riuniti, comincia a essere un altro; comincia ad avere altri significati. Si cominciano cioè a intravedere gli altri; significati che il compito ha per ognuno degli integranti. Il compito acquista vari significati, tanto che si può dire che a un certo punto nessuno può sapere qual è il compito del gruppo. Si può intendere il compito come una metafora, in un certo senso un pretesto, come un prodotto da elaborare, in quanto il vero significato del compito lo si può vedere solo alla fine.
Solo quando il gruppo è finito, possiamo sapere qual è il compito e che cosa è stato il gruppo. Nel percorso possiamo solo limitarci a interpretarlo.
Diciamo cioè che anche il compito ha un suo aspetto latente e uno manifesto.
Il gruppo che all'inizio conosce solo gli aspetti manifesti del compito, nel processo un po' alla volta si appropria degli aspetti latenti dello stesso. Il gioco tra il manifesto e il latente del compito diventa così il gioco tra il sapere e il non sapere, tra gli aspetti conosciuti e quelli che man mano emergono come le infinite sfaccettature del compito. Ma questo non significa diminuire il significato del compito manifesto, ognuno deve sapere chiaramente in quale esperienza si mette (importanza del contratto), il gioco sarà sempre manifesto e latente.
Il gioco tra il manifesto e il latente del compito porta al problema di quale sia il conflitto che sottende l'elaborazione di questo compito.
Come si manifesta questo conflitto?
Stiamo cioè parlando della nozione di emergente. L'emergente è una situazione, una parola un sottogruppo, un azione, un silenzio che richiama l'attenzione del coordinatore sul senso della situazione gruppale. È attraverso l'emergente che il coordinatore interroga se stesso o il gruppo su quello che sta succedendo. L'emergente permette di individuare cosa sia avvenuto nella struttura gruppale di fronte a un dato compito.
Il coordinatore, il compito e l'organizzazione gruppale sono i tre vertici di un triangolo che rappresenta la situazione gruppale. La funzione del coordinatore non è quella di entrare nel gruppo come leader o quella di dire al gruppo cosa deve fare. Egli dovrebbe interpretare il legame tra il gruppo e il compito, come il gruppo lavora sul compito.
Se nel gruppo esistono dunque due ruoli ben definiti, quello dell'integrante e quello del coordinatore, esistono anche due compiti ben differenziati, uno per il gruppo e l'altro per il coordinatore. Il compito del coordinatore non è quello del gruppo, non ha la funzione di dirigere il gruppo, ma di osservare la relazione gruppo-compito.
È chiaro che il gruppo soprattutto all' inizio cercherà in ogni modo di far entrare il coordinatore nella situazione-grupppale, di farne il suo leader. La funzione del coordinatore sarà quella di non entrare nel gruppo e di restituire la leadership in lui depositata al gruppo.
Per il Gruppo Operativo i leader sono da rintracciare all'interno del gruppo e sono in funzione del compito; è il gruppo che inconsciamente decide quale tipo di leader avere. Se il coordinatore dovesse assumere la leadership del gruppo, non potrebbe più interpretare le resistenze rispetto al compito. D'altro canto il coordinatore non è neanche il compito del gruppo, in quanto non è modello di identificazione, né di salute mentale, né del sapere.
Il leader sarà uno dei membri del gruppo che il gruppo stesso sceglierà con la possibilità di organizzarsi rispetto al compito. Detto in altre parole ogni gruppo sceglie il leader di cui ha bisogno per poter portare avanti il proprio compito. E quindi sceglierà un leader democratico, demagogico, laissez faire o autoritario seconda di quello che il compito in quel momento richiede.
Naturalmente questa scelta è inconscia. La cosa importante per il gruppo operativo non è scegliere il leader migliore, ma di permettere una rotazione della leadership all'interno del gruppo. Se il leader in un gruppo è sempre lo stesso ci troviamo di fronte a una resistenza al cambiamento.
Oltre a segnalare le vicissitudini del gruppo rispetto al compito, un'altra funzione del coordinatore è quella di essere garante dell'inquadramento o setting. L'inquadramento è centrale perché è lo spazio che permette di vedere come il gruppo svolge il compito, è la cornice che fa partire il processo stesso. Contemporanea mente il setting è importante per poter contenere le ansie, le emozioni che si mettono in gioco quando si sta apprendendo, si sta facendo una terapia o una ricerca L'inquadramento gruppale si configura attraverso quattro variabili: tempo, spazio, ruoli e compito.
Il setting aiuta il coordinatore a mantenere una posizione decentrata rispetto al gruppo. Il decentramento rispetto al gruppo presuppone da parte del coordinatore l'elaborazione di due ordini di problematiche: quella dell'appropriazione del prodotto e quella del lutto. A partire dal setting il coordinatore deve sapere cioè che il gruppo non è di sua proprietà e che, sin dall'inizio, deve cominciare il suo distacco sia dal gruppo sia dai suoi risultati.
Per finire dobbiamo sottolineare che il processo gruppale si dà sempre all'interno di una istituzione che dà «l'impronta» al gruppo stesso. Ma l'istituzione non è solo esterna al gruppo, ma anche interna: la possiamo osservare anche all'interno di ogni membro, ne colora i suoi fantasmi le sue paure, i suoi desideri.
Bibliografia
E. PICHON-RIVIERE, Il Processo Gruppale, Lauretana, Loreto, 1985
J. BLEGER, Psicoigiene e Psicologia Istituzionale, Lauretana, Loreto, 1989
A. BAULEO, Ideologia, gruppo e famiglia, Feltrinelli, Milano, 1978
A. BAULEO, Verso una psicologia sociale analitica, Cacciari, Bologna, 1983