Nel 1977 venne pubblicato in Italia un libro di Ernesto De Martino, il grande antropologo che attraverso ricerche sul campo si era occupato di un fenomeno che aveva chiamato “crisi della presenza”.
La crisi della presenza è la crisi della presenza a sé ed è particolarmente importante in quel mondo, che De Martino chiama “Il mondo magico”. La presenza è la coscienza di essere nel mondo: l’esserci di Heidegger. De Martino intende il “mondo magico” come quel mondo in cui: “La propria presenza personale, l’esserci, l’anima, 'fugge' dalla sua sede, può essere rapita, 'rubata' , 'mangiata' e simili; è un uccello, una farfalla, un soffio; ovvero ancora deve essere 'trattenuta', 'fissata' ,'localizzata'. (Il mondo magico, capitolo secondo, pag. 97)
De Martino muore nel 1965, il suo rapporto con la psichiatria italiana è fondamentale.
Fra gli appunti di De Martino venne trovato il progetto di un libro, ancora allo stato di abbozzo.
Quelle note, curate e organizzate furono pubblicate con il titolo “La fine del mondo”; e con un sottotitolo: "Contributo all’analisi delle apocalissi culturali".
Quella suggestione mi sembra straordinariamente esplicativa della nostra situazione contemporanea, soprattutto in riferimento alla possibile catastrofe ecologica, come dimostrano due emergenti di due diversi gruppi terapeutici in cui faccio la funzione di coordinatore.
Nel primo gruppo, che si tiene all’interno di una comunità terapeutica dove le persone vivono, dopo molti mesi di partecipazione con pochi interventi verbali, Stefano interviene dicendo di sapere cosa vuole la “Natura”, che i “dati” gli sono stati trasmessi, e che lui ha sentito la necessità di fare sapere a tutti quale sarà il nostro destino ma nessuno l’ha ascoltato ed anche ora, che ha pensato di parlare nel gruppo, sa che non sarà capito.
L’altra persona partecipa ad un gruppo che si tiene in un centro diurno, studia all’università e vive con altri amici in un appartamento. Ad un certo punto, dopo avere sostenuto un esame di filosofia teoretica, in cui si era concentrato su Jonas e sul principio di responsabilità, comincia a dire di aver esperienze telepatiche, le persone sentono i suoi pensieri e comunicano con lui telepaticamente. Paolo sa che deve fare qualcosa per la terra, vuole organizzare un movimento, ma qualcuno non è d’accordo, qualcuno lo vuole ostacolare e gli impedisce di fare sapere la gravità della situazione.
Queste due persone, mentre sto scrivendo, stanno vivendo una situazione di “crisi della presenza” ma, allo stesso tempo, ci stanno segnalando qualcosa che non è privo di senso e che cerca di essere compreso in una dimensione più vasta.
Da quale mondo provengono quegli emergenti?
Proviamo ad allargare il campo dell’analisi.
Il mondo interno del soggetto
Se seguiamo il Wittgenstein nella proposizione 1.13 del Tractatus
"I fatti nello spazio logico sono il mondo"
ci possiamo concentrare sul rapporto fra spazio e mondo ed in particolare sulla corrispondenza fra spazio esterno e spazio interno o, se vogliamo, fra mondo interno e mondo esterno, seguendo Melania Klein.
In particolare, possiamo ipotizzare che la costruzione dello spazio interno sia correlata allo spazio esterno.
Armando Bauleo, che è stato molto intrigato da Wittgenstein, ha studiato la storia dello spazio in cui si colloca la psicosi; intitola il suo lavoro “Lo spazio non-logico della psicosi”: in quello spazio vi sono altri fatti e dunque un altro mondo.
Dice Bauleo:
"Wallon, citato da Bleger, afferma che pensare è aprire degli spazi mentali; per noi, lo spazio mentale è il luogo in cui ci si colloca in un rapporto immaginario con qualcun altro”
(Clinica gruppale, clinica Istituzionale, pag 104)
Lo “spazio mentale” è dunque inteso da Bauleo come la costituzione della soggettività che è un “luogo in cui ci colloca in un rapporto immaginario con qualcun altro”. Questo spazio, come dice Heidegger, “con-costruisce il mondo”, cioè produce l’ambiente in cui vive: il “mondo della vita”. Il lebenswelt della fenomenologia.
Dunque, il nostro concetto di soggettività è strettamente in relazione con lo spazio.
E lo spazio non è sempre lo stesso ma è storicamente e geograficamente determinato. Per questo vi sono diverse soggettività e non una unica astratta “natura umana”.
Una struttura universalmente valida non esiste; esistono diverse forme di soggettività in relazione alle diverse forme che ha assunto lo spazio.
La terra
Ad esempio, lo spazio dei cacciatori raccoglitori nomadi produce una soggettività specifica.
In questa forma di soggettività, che è fabbricata, dalle condizioni materiali di produzione, lo spazio è la terra sconfinata, è il deserto, il mare. I punti di riferimento sono: le stelle, i pozzi, un albero, una montagna, o una radura, un ansa di un fiume, una caverna e così via. I percorsi sono le vie di transito degli animali, linee curve, odori, tracce lasciate nel cammino.
Il mondo che è un mondo ostile ma vivo, animato da forze invisibili che possono essere favorevoli o sfavorevoli. Si cercheranno tecniche per ottenere il favore di queste forze o dispositivi per addomesticarle e controllarle
Questa è la forma di soggettività, lo “spazio mentale”, del mondo magico di cui parla De Martino. Si tratta di un mondo in cui la velocità di spostamento è in relazione ai limiti naturali, degli esseri umani o degli animali addomesticati, lo spazio è lungo giorni e notti, per raggiungere un luogo occorre molto tempo e ci sono luoghi irraggiungibili da cui però possono provenire minacce o opportunità. Altri mondi sono lontani o lontanissimi, solo immaginabili.
Il territorio
Come può finire un mondo come questo? Come si può pensare ad una catastrofe che faccia finire questo tipo di soggettività, questo specifico spazio mentale in cui il rapporto immaginario con l’altro avviene in un luogo come la terra? Eppure, evidentemente, questo mondo, il mondo magico, è crollato con il cambiamento delle forme produttive. E’ emerso un altro mondo. Sicuramente ci furono, e ci sono, deliri di fine di questo mondo: apocalissi culturali.
La terra si è trasformata in territorio, sono sorte canalizzazioni, opere idrauliche per irrigare, muretti per segmentare parti di terra di proprietà che potevano essere coltivate dall’uno o dall’altro.
La conoscenza della tecnica agricola è diventata un potere che ha potuto selezionare una classe rispetto ad altre classi; si è istituito un potere di controllo ed i piccoli villaggi si sono circondati di mura. Il potere si è concentrato in un despota cui si deve obbedienza assoluta, questo dispotismo ha organizzato lo spazio in territori dominati. Sono nati gli Stati-nazione.
Gli Stati-nazione si sono progressivamente divisi la terra in territori ed hanno organizzato uno spazio su cui si sono sviluppate diverse soggettività.
Etienne La Boetie nella prima metà del 1500, nel suo "Discorso sulla servitù volontaria", si è interrogato sull'origine del potere dispotico e sul perché ci sia una alienazione dei molti su di uno. La dipendenza, il dispotismo, la servitù volontaria, si ritrovano sotto molteplici forme e producono forme di soggettività caratterizzate dall'alienazione e dalla passività. Il dispotismo può assumere molte forme, compreso il dispotismo illuminato o il paternalismo ma necessita di disciplinare i soggetti secondo un ordine gerarchico.
Thomas Hobbes è il lucido teorico di questo processo. Il suo sovrano è l’effetto dell’alienazione del potere dei molti, ed il suo potere di essere “legibus solutus” è il risultato di questo deposito collettivo. Il Leviatan, il mostro assoluto, è formato dai molti, come dimostra la famosa l’immagine che l’illustra.
Ognuno rinuncia al suo potere per delegarlo al sovrano che governerà e sarà responsabile del benessere del suo popolo.
Ma questa alienazione, nella forma di soggettività che andiamo descrivendo, non avviene per sempre, sono necessari dei dispositivi che disciplinino l’alienazione del potere e mantengano il consenso.
Michel Foucault ha elaborato il concetto di “dispositivo disciplinare”, e nei suoi studi classici ha dimostrato come gli ospedali psichiatrici, i penitenziari, gli ospedali, le scuole, siano nati e si siano sviluppati per formare, contenere, sorvegliare e punire i soggetti degli Stati–nazione.
La globalizzazione
Ma anche la forma di soggettività tipica dello Stato-nazione è attualmente in collasso. Che cosa è successo? Si è formato un altro spazio che non è più il territorio del despota. Potenti forze di deterritorializzazione hanno prodotto nuove forme di soggettività. Parliamo di un processo che si sta svolgendo da diversi secoli e che ora abbiamo definito globalizzazione.
Questo processo è l’economia capitalista che ha unificato i mondi isolati in un solo mondo, un solo spazio, lo spazio del commercio. In questo spazio le forme statali nazionali sono resti della forma territoriale. Ma, nel capitalismo, la forza che libera da antichi vincoli comunitari distrugge i miti ed i riti, produce masse di espropriati dal territorio di appartenenza che circolano nello spazio delle merci come una merce specifica: la forza lavoro. Questa merce speciale è libera di offrirsi sul mercato ma l’ideologia dominante non la prevede come soggetto di diritto. Il diritto, dove c’è, è l’effetto di un conflitto di potere.
Infatti, lo spazio del mercato si presenta attraversato da una costante dialettica fra la forza che frantuma le comunità e produce soggetti liberi di consumare le merci e i soggetti collettivi che contrattano le loro condizioni materiali di vita sfuggendo alle disposizioni disciplinari.
Questa soggettività produce una continua turbolenza nello spazio del mercato. E' una faglia che l’attraversa e genera continuamente conflitto. E’ il conflitto interno, l’ingovernabilità ad immettere continui cambiamenti alla ricerca della stabilità.
Abbiamo visto che nello spazio del mercato si liberano forze che necessitano di un controllo disciplinare ed abbiamo visto che questo controllo è effettuato da dispositivi che appartengono allo Stato-nazione.
Dobbiamo dire che il controllo della società disciplinare è crollato definitivamente nel conflitto epocale degli anni 60. Lì, nel fuoco della contestazione globale alle Università ed alla scuola in generale, è emersa la non neutralità delle discipline della formazione e l’aspetto di organizzazione del consenso dei dispositivi istituzionali.
Decostruzioni
Tuttavia, l’unica rottura di un dispositivo istituzionale di disciplina è avvenuta solo in Italia.
Sto parlando della chiusura dei manicomi.
Dunque, per lo Stato-nazione c’è uno spazio specifico per la follia, è istituito un dispositivo che prevede una disciplina che distingue il sano dal folle sulla base di segni che rimandano a quadri clinici codificati; questa disciplina dispone di un apparato di cattura e di contenimento in uno spazio specificatamente dedicato alla psicosi. Questo spazio è l’ospedale psichiatrico o manicomio che è, a sua volta, suddiviso in diversi luoghi a maggiore e minore contenimento e a forme e tecniche specifiche di controllo.
Lo scopo è il contenimento e disciplinamento alle regole sociali del folle.
La disciplina, cioè la psichiatria, utilizza le diagnosi, non in funzione della cura della persona dalla malattia ma come etichetta, come stigma per dichiararlo “pericoloso a sé e agli altri e di pubblico scandalo” e, dunque, per “difendere” il sano dalla follia dell’altro.
Sulla base di queste considerazioni si è sviluppato il movimento che ha portato alla decostruzione del manicomio che è stato smontato partendo dalla sovversione dei meccanismi di reificazione della persona e della sua riduzione alla malattia. Nell’ospedale di Gorizia, Franco Basaglia cominciò a restituire ai degenti i loro oggetti personali, che venivano requisiti al momento del ricovero. Le foto di un fidanzato, un anello, una bambola e così via, per rimettere le persone all’interno della loro storia di affetti che l’istituzione totale aveva completamente smantellato. Il percorso è andato dalla dignità della persona alla libertà ed alla distruzione del dispositivo, ma si è fermato di fronte alla disciplina, alla psichiatria. Il movimento di riforma non è stato in grado di modificare la formazione degli psichiatri.
Il cyberspace
La nostra generazione di psichiatri Italiani si è posta il compito, una volta che il dispositivo disciplinare della psichiatria manicomiale era stato abbattuto, di modificare il senso comune comunitario per distruggere i pregiudizi e gli stereotipi che continuavano ad alimentare i “manicomi mentali”.
In questo percorso abbiamo incontrato il pensiero di Pichon-Rivière e abbiamo continuato la linea di Basaglia formandoci nei gruppi operativi con Armando Bauleo.
Lo spostamento del campo di intervento nell'ambito comunitario ci ha permesso di affrontare i dispositivi istituzionali che, attraverso la formazione di un senso comune conformista, producono l’egemonia in uno Stato-nazione. Ma ci siamo progressivamente resi conto di un cambiamento generale della società disciplinare.
Il senso comune non si formava più nelle scuole, perché assumevano una importanza sempre maggiore i mezzi di comunicazione di massa.
La rete dei mass media faceva circolare velocemente informazioni in uno spazio che non era più quello del mercato.
La radio, la televisione e, a partire dagli anni 90, la rete dei personal computer collegati fra loro e poi le interconnessioni fra telefonia cellulare, televisioni e computer, hanno prodotto un'altra forma di spazio, un'infosfera, o sfera dell'informazione, che è stato chiamato cyberspace.
Semiocapitalismo e moltitudini
Questo ulteriore spazio ha di nuovo modificato le soggettività. Lo spazio mentale deve fare i conti con questa “realtà virtuale”. Nel volgere di una decina di anni abbiamo assistito ad una mutazione antropologica: i soggetti hanno costruito un loro avatar virtuale, un doppio che, a differenza dell’induismo, non significa una “incarnazione” o materializzazione; in questo caso l’avatar è la proiezione virtuale dell’individuo sulla rete in una delle numerose forme in cui può comunicare con un altro o altri avatar.
Dunque una “virtualizzazione”.
La produzione ormai non produce più solo oggetti per i soggetti ma i soggetti stessi che devono consumare quegli oggetti: li produce come consumatori. Il capitalismo è diventato una continua produzione di maschere identitarie che appaiono nell’ immaginario invaso da immagini che producono identificazioni per vendere i prodotti.
In questo spazio l’organizzazione disciplinare è costituita dal capitalismo in quanto tale che non produce più merci ma stili di vita, e dunque il consumatore si disciplina comprando uno stile di vita e indebitandosi per una villetta in cui vivere il suo Truman Show. Questo è lo stadio semiotico del capitale, il semiocapitalismo: la produzione di significati per significanti. Questo stadio comporta la sussunzione dell’immaginario nella produzione. L’immaginazione viene asservita alla produzione come lavoro cognitivo che alimenta il mito del marchio. Sono i miti d’oggi, che aveva analizzato Roland Barthes, ma Barthes non aveva ancora visto come i miti d’oggi siano il risultato della produzione e siano in funzione di un'economia che riduce i soggetti a consumatori e occupa il “luogo in cui si colloca il rapporto Immaginario con un altro”.
Questa trasformazione produttiva è contemporaneamente una mutazione antropologica, lo spazio virtuale contiene un mondo immaginario che propone una serie innumerevole di modelli di identificazione: dalla pubblicità alle rock star, ai divi del calcio a quelli del cinema, della televisione e così via.
I modelli entrano nello spazio mentale e, per usare la terminologia freudiana, si mettono nel posto dell’ideale dell’io.
La potenza planetaria di questa mutazione scardina le diverse appartenenze territoriali, i codici culturali degli Stati-nazione con un potentissimo flusso decodificante.
Le masse del secolo XX che si organizzavano attorno ad un capo che conteneva le loro identificazioni proiettive sono scomparse. Come dice Toni Negri, non c’è più il popolo, inteso come unità, come “un popolo”, una massa. Questo processo libera la singola produzione desiderante che migra dal proprio territorio verso una meta immaginaria.
L’immensità di singoli in migrazione dallo spazio territoriale è un esodo che ci appare sotto la forma della moltitudine.
Le moltitudini sono singolarità in esodo da uno spazio territoriale ad uno virtuale e sono la cifra della contemporaneità. Le moltitudini non possono essere più disciplinate dai dispositivi classici che, come si è detto, formavano, contenevano, sorvegliavano e punivano i soggetti degli Stati-nazione. Come le merci circolano liberamente nello spazio del mercato, così le moltitudini abitano lo spazio virtuale.
Impero e psichiatria
Il soggetto che emerge nella moltitudine è un soggetto completamente privo di diritti, è, come dice Giorgio Agamben, una “nuda vita”, un clandestino nascosto nel vano del carrello di un aereo, nella intercapedine di un Tir, nel cesso di un treno o su di una zattera nel mar libico o in un camion nel deserto del Sahara. Come può avvenire la sorveglianza ed il controllo delle moltitudini di questa “nuda vita” che sfugge alla dimensione territoriale?
C’è stato, e c’è, un progetto Imperiale, la costruzione di un Impero planetario per riprendere il controllo di questi flussi desideranti e decodificanti.
L’Impero, con le sue istituzioni autoritarie come il FMI o il WTO, ha cercato, e cerca, il governo del pianeta, ed ha anche prodotto degli spazi, come i Centri di Identificazione ed espulsione, che sono luoghi dedicati a controllare e contenere le moltitudini disobbedienti.
Anche la psichiatria dà una mano al controllo imperiale con la produzione di una “macchina” globale diagnostica: il DSM IV.
Questo manuale è la codifica imperiale dei flussi decodificati.
Il migrante segue il suo desiderio, sopporta difficoltà e frustrazioni, perché il suo progetto migratorio si è installato al posto dell’ideale dell’io e lo pone in uno stato di coscienza particolare, quasi una transe migratoria.
Poi negli USA o in Europa ha una delusione, quel mondo immaginario collassa nel piano reale, c’è una crisi, ci può essere disperazione, senso di vuoto, paura dell’abbandono, autolesionismo o ripetuti scontri fisici.
C’è sicuramente una identità diffusa.
A questo punto, il nostro migrante può incontrare un qualsiasi apparato di cattura ed è sottoposto ad un test, come i replicanti di Blade Runner, e gli si può dire che “soddisfa i criteri del DSM IV per disturbo borderline di personalità".
Eccolo rinominato nell’ordine imperiale, eccolo dotato di una soggettività che occuperà il suo spazio mentale e renderà lecita una tecnologia di controllo, farmaci o altro contenimento preventivo, perchè la soggettività borderline è caratterizzata da “ricorrenti scontri fisici”
La macchina DSM è uno strumento di classificazione e controllo, la diagnosi in questo caso non serve a capire la sofferenza, così come ci ha insegnato Basaglia.
Quindi, attenzione, la salute mentale non si basa sulla trasformazione degli psichiatri nella polizia preventiva che autorizza a violare “l’habeas corpus” con tecniche invasive come farmaci, arresti o contenimenti basati su di una presunta pericolosità, noi non siamo e non saremo mai strumenti di un ordine imperiale se ci interrogheremo sul nostro mandato sociale.
Il crollo dell’impero
Il processo che ho descritto è arrivato ad un punto in cui è emersa la forma di coscienza delle moltitudini. A Seattle nel 1999 si comprende che un altro mondo è possibile. Poi, il movimento dei movimenti cresce, fino agli scontri di Genova, per trasformarsi nella “terza superpotenza”, quando ci furono le grandi manifestazioni planetarie contro la guerra in Irak.
Ora si è capito che la guerra infinita di Bush è persa, e siamo entrati in una crisi che Perm Shankar Jha ha definito il caos prossimo venturo.
In questo caos emerge la impossibilità di decidere, la politica ha celebrato il rito della sua impotenza nel novembre 2009 a Copenaghen.
Tutti sappiamo che stiamo andando verso il collasso globale, che il pianeta si sta surriscaldando, che le emissioni di Co2 stanno provocando l’effetto serra.
Nello spazio virtuale circolano immagini di catastrofi: terremoti, tzunami, cicloni, scioglimento dei ghiacciai dei poli, e mai più le nevi sul Kilimanjaro. Inquinamento da metalli pesanti, polveri sottili, montagne di rifiuti che non si sa dove mettere, scorie nucleari radioattive da rendere inoffensive, sarcofagi di cemento per isolare reattori termonucleari esplosi.
Una lista vertiginosa di sintomi di un collasso globale prossimo venturo.
Jarel Diamond si è occupato di come le società scelgono di morire o vivere; ha esaminato, fra gli altri, i casi dell’isola di Pasqua, delle società Maya e della Groenlandia. Tutte civiltà che si sono autodistrutte distruggendo l’ambiente, distruggendo il proprio mondo.
E’ evidente che il modo attuale di produzione e consumo ci sta portando alla disintegrazione, in questo ci può aiutare solo una consapevolezza che è un sintomo di salute mentale.
Il comune
In quel libro, Diamond cita una conversazione con un suo amico olandese che gli dice che gli olandesi hanno prodotto la terra bonificata in cui vivono che chiamano polder.
Bisogna continuamente agire per mantenere il polder pompando via l’acqua e, per farlo, bisogna andare d’accordo col proprio nemico che vive nello stesso ambiente: altrimenti si muore entrambi.
E’ questa la coscienza contemporanea emersa nella contestazione di Copenaghen, è lo spazio comune che abbiamo con-costruito, lo spazio che abitiamo che deve essere curato.
Dunque, salute mentale, in questa epoca, significa la formazione di soggettività che vivono in un luogo comune e collocano l’altro nello stesso luogo, di cui bisogna necessariamente prendersi cura.
E per tornare a Stefano, il suo delirio di fine del mondo non è un sintomo di malattia ma di salute. Disobbedisce all’immaginario dominante per cercare chi curerà con lui il polder, così Paolo sente, come principio di responsabilità, il prendersi cura della terra, il fare qualcosa per la terra perché noi siamo fatti di terra.
Sono le nuove soggettività dello spazio comune che avanza.
Il nostro compito diventa così allargare la coscienza dell’abitare producendo e moltiplicando gruppi operativi dove si possano esprimere soggetti collettivi che si prendano cura di sé e del proprio mondo, disobbedendo al flusso che fa scomparire l’altro o lo rende pericoloso.
La cura è amicizia, ospitalità, interesse e passione: questa è la salute mentale che lotta contro la paura paralizzante di una società sicuritaria, per una giustizia climatica contro uno zombicapitalismo che si nutre dei sogni, delle passioni e dell’immaginario dei vivi e ci sta portando alla disintegrazione.
Produrre salute mentale oggi è un compito globale. Significa creare una metamorfosi: al posto della disintegrazione fare emergere una nuova forma di vita: i soggetti dello spazio comune.
Un compito improbabile ma possibile.
Città del Messico 18/02/2010