Penso sia interessante partire dal significato etimologico del termine adolescenza: deriva da “adolescere” e significa crescere. E il participio passato di adolescere, che poi significherebbe “cresciuto” o “che ha finito di crescere”, è adulto.
In genere, si è concordi nel ritenere la fase dell’adolescenza come una fase di passaggio e di transizione tra due fasi: da una parte l’età infantile, caratterizzata fondamentalmente dal rapporto che si intrattiene con il mondo esterno, mediato da quelle figure genitoriali che costituiscono dei punti di riferimento certi e sicuri; e dall’altra parte l’età adulta, nella quale confluirebbe il periodo adolescenziale e nella quale si dovrebbe riuscire a trovare, forse in maniera anche un po’ mitica, come sostiene Georges Lapassade nel suo primo libro “Il mito dell’adulto”[1], una propria sicurezza e stabilità.
La preadolescenza, che costituirebbe la prima fase di trasformazione del bambino in adolescente, e poi l’adolescenza vera e propria, si presentano come fasi della vita della persona caratterizzate da grande instabilità, da incertezza e dalla perdita delle sicurezze che avevano accompagnato la crescita del soggetto fino a quel momento. In questo periodo della vita le ragazze ed i ragazzi vanno incontro a cambiamenti straordinari che li modificano sia dal punto di vista fisico, soprattutto con la maturazione sessuale e genitale, che psichico, con il riemergere dell’elemento narcisistico propizio alla ricerca di una propria identità, ossia di un proprio modo di stare al mondo. La fase dell’adolescenza viene generalmente considerata come una tappa fondamentale nella costruzione della personalità; come una fase di ricerca e sperimentazione per trovare la propria strada, il proprio modo di essere.