Il panorama politico del pianeta è desolante, qualsiasi tentativo di costruire una specie di ordine deve fare i conti con il caos.
Lo scioglimento dei blocchi della guerra fredda ha portato ad un aumento della temperatura e come in qualsiasi cinetica delle particelle, ha prodotto un moto browniano, imprevedibile del sistema. Anche i flussi di comunicazione hanno aumentato la loro velocità provocando un'aumentata probabilità di manifestazione di turbolenze in presenza di piccoli ostacoli o di lievi modifiche con veloci aumenti o brusche diminuzioni del moto. Questi momenti o attrattori strani cambiano la cinetica e trasformano un flusso laminare in un'onda, e l'onda si frastaglia secondo regole imprevedibili.
Il caos domina, è ormai evidente che la stabilità è un caso particolare del caos, una forma che si produce in circostanze specifiche e che è destinata alla mutazione ed alla instabilità.
Che errore tentare di spiegare le crisi come rottura di uno stato d'equilibrio naturale.
Non c'è nessun equilibrio, è lo squilibrio a contenere l'equilibrio come caso particolare.
Anche lo spazio contemporaneo che ci produce come soggetti è assolutamente sottoposto a flussi caotici che lo disegnano come il risultato di un conflitto fra flussi contrastanti di economie monetarie e, più profondamente, libidiche.
Uno spazio come Manhattan, ad esempio, è uno scenario, un palcoscenico dove mettere in scena uno stile di vita: lo stile di vita americano, libero, con tutti i gradi di libertà, fino al serial killer, o alla famiglia italo-americana o al nero che vive il ghetto.
Ma tutto con le caratteristiche della recita.
"Hey amico, qui siamo a New York, questo è il centro del mondo, comportati come si deve, sfrutta la tua opportunità di diventare famoso per 15 minuti", come diceva Andy Warol. Questo sembra essere il canovaccio, il copione per vivere questo spazio che è un fondale dell'immaginario collettivo. Chi può distruggere questo spazio, chi può odiare la libertà, dunque, almeno nell'immaginario, lo spazio di Manhattan con i suoi grattacieli, le street e le avenue che si incrociano e la Brodway che taglia la tela come in un quadro di Fontana, è uno spazio libero per qualsiasi messa in scena. Gli attori possono impersonare i ruoli più disparati: dal Jocker al taxi driver paranoico, a nessuno è venuto in mente di distruggere questo spazio.
Ma Mohamed Atta, o chi per lui, che dirotta un volo civile con un coltello di plastica e si schianta contro la torre gemella e poi un altro volo che fa lo stesso e ne provoca il crollo e noi vediamo le immagini di quelli che si buttano dall'alto e cadono e vediamo le torri che crollano in un'immensa nube di polvere.
Ecco, da allora si capisce che è il caos a dominare lo scenario.
E' emerso il ground zero che non è più colmabile ormai. Quella possibilità si è realizzata, non è più King Kong. Se è avvenuto significa che può avvenire, significa che questo è uno scenario che può essere distrutto, che sarà distrutto.
Dunque un coltello di plastica che sfugge al metal detector può provocare il crollo delle torri gemelle? Così è. Il paradigma del complotto "Cosa ci vogliono far credere ecc..." è solo un tentativo di ridurre l'ansia che emerge potentemente da questa "evidenza scientifica" che è la dimostrazione della teoria del caos. Non è più necessaria la citazione della farfalla che batte le ali a Pechino e provoca il terremoto a San Francisco.
Il caos, come sfondo, ci permette di pensare ai flussi desideranti come a correnti che attraversano il pianeta e ne modificano le forme, ma ci porta anche a pensarci come soggetti di questi flussi.
Il secolo scorso si è caratterizzato, nella sua seconda metà, almeno fino al 1989, per la produzione di identità cristallizzate stabili attorno a degli involucri collettivi chiamate masse. La massa produce il soggetto attraverso un'identificazione con un leader. Ci dice Freud, in "Psicologia delle masse ed analisi dell'io", che al posto dell'Ideale dell'io, che è una funzione intrapsichica, il soggetto colloca il leader, un po' come l'amante colloca l'amata/o o l'ipnotizzato l'ipnotista. Ma, accanto a questo movimento orizzontale, ne scaturisce uno laterale di identificazione con l'altro, che non è propriamente un altro, ma è un medesimo, un altro me che condivide il mio stesso Ideale dell'io. Questi vincoli identitari forti, si stabiliscono anche con leader morti da tempo o con idee, e contribuiscono a costruire le "masse popolari" o il popolo che è sempre uno, e si basa sulla identità dei medesimi.
Una massa può essere effimera, quando si riunisce in una grande spianata per ascoltare il leader o per uno scopo preciso: uno sciopero. Può essere artificiale quando, per essere tale, non ha bisogno di concentrarsi in un sol luogo, come ad esempio l'esercito che vive acquartierato nelle caserme, ma anche un popolo, una etnia può essere pensata come una massa artificiale.
Per esempio, un abitante di un villaggio nei Maramures in Romania, vive in una dimensione agricola, in graziose case di legno. Il villaggio ha un ingresso con un arco dipinto e, all'interno, c'è una dimensione immaginaria, da quadro di Chagall "Io e il villaggio". Nel villaggio vige una gerarchia e, sicuramente, il nostro Andrej avrà un Ideale dell'io suo, formato dalle letture, dalla visione della televisione e dai suoi desideri consci ed inconsci. Questo ideale dovrà fare i conti con quello che sua madre e suo padre vogliono per lui, con i loro desideri e con i doveri che Andrej ha verso il villaggio, e verso la "patria". Servizio militare, ideologia, religione se c'è, ecc... Questi altri aspetti costituiscono il Super io del nostro Andrej che deve fare i conti con l'Ideale dell'io.
Se allarghiamo questa analisi ai tanti Andrej e Olga di quello e di altri villaggi, potremmo pensare che il Super io corrisponde a un insieme di norme, di comportamenti, di modi di assunzione di ruoli prescritti che appartengono ad un ordine o ad un piano che chiamiamo simbolico. Il piano simbolico è costituito da segni che per noi possono essere un certo modo di vestire, un modo di atteggiarsi, fino ad un modo di pensare e di essere ai quali viene attribuito un significato univoco secondo un codice che appartiene a quel villaggio specifico. Dunque, ad esempio, il codice del villaggio potrebbe prevedere per Olga il matrimonio con un contadino proprietario per un ruolo più prestigioso di quello di sua mamma; questo significherebbe una progressione nell'ordine simbolico verso un maggior prestigio sociale. Tuttavia l'immaginario di Olga, ossia lo spazio libero dalle leggi del codice del villaggio, viaggia verso altri simboli, che per lei assumono un altro significato o il significato che lei le attribuisce. Per esempio, il possesso dei marchi visti alla televisione costituisce uno status prestigioso per una sottocomunità di "eretici" che non credono più al codice del villaggio. Queste persone subiscono una "transe di possessione", nel senso che il loro stato di coscienza ne risulta modificato, perché una immagine vista al cinema o alla televisione ha preso il posto dell'Ideale dell'io.
Olga non è più la stessa, non segue più l'ordine simbolico del villaggio, non risponde più alle prescrizioni dell'altro generalizzato, non crede più che il suo futuro sia sposare Andrej, fare figli e lavorare nei campi, ma sente che "deve" essere altro, che può essere altro, e sente che questo desiderio non è un'infamia, non tradisce nessuno se desidera realizzare il sogno di essere una modella, una cantante, un'attrice della televisione o del cinema. L'immaginazione è andata al potere.
L'immaginario si è reso autonomo dal simbolico e produce altri significati non previsti dal codice culturale preesistente.
Questo processo è avvenuto in tutto il pianeta, i codici culturali che isolavano i soggetti all'interno di stati nazionali sono crollati di fronte alla diffusione planetaria prima del cinema, poi della radio e della televisione, figuriamoci con internet... Le élites che leggevano nei libri la letteratura di altri paesi si sono confuse nella quantità di fruitori dei media che, tramite la musica e il ballo, hanno diffuso il modo di vestire e di comportarsi delle metropoli, mescolato con i segni di altre culture che acquistavano nuovi significati nel codice della libertà.
Questa mutazione culturale ha prodotto delle, ed è stata prodotta dalle, migrazioni che seguivano i flussi desideranti. Come sempre l'effetto non è distinguibile dalla causa: parliamo, con Althusser, di causalità strutturale, in cui le cause retroagiscono sugli effetti.
La mutazione non è avvenuta solo per la dimensione culturale, anche le ideologie del novecento sono tramontate, così anche le religioni.
Non siamo più nell'era delle masse ma in quella delle moltitudini. Le moltitudini non si riconoscono in un leader, non hanno un'identità stabile e strutturata, l'identità della moltitudine è liquida, come dice Z. Baumann, cioè si modifica a seconda del contenitore in cui si trova; per questo dobbiamo ripensare a André Breton e ai suoi vasi comunicanti, cioè a come un concetto, un modo di essere, uno schema di riferimento, transiti in un altro, dobbiamo ripensare alla forma della soggettività, a come l'io possa fare surfing sul caos, cadendo e sparendo nell'acqua per poi risalire sulla cresta dell'onda.
La moltitudine è l'effetto della produzione desiderante che stacca i soggetti dalle appartenenze culturali per immetterli in una dimensione immaginaria. I soggetti delle moltitudini non sono mai totali e neutri, ma parziali e sessuati, sono maschi e sono femmine, come dice Luce Irigaray, non si costituiscono su identità ma su differenze. E' la differenza a vincolare la moltitudine, è la differenza che permette di riconoscere l'altro e di costruire assieme un senso della comunicazione che non è predeterminato da un ordine simbolico che ci determina come parlanti.
Siamo moltitudini in esodo.
I tentativi di ricondurre le moltitudini ad un ordine imperiale sono falliti. L'impero non riesce ad ordinare il caos, anzi il tentativo di stabilizzare con la forza il flusso caotico degli eventi ha prodotto un surplus di instabilità. I penosi tentativi della politica di ridurre le crisi e di disegnare dei vincoli di convivenza si scontrano con la mancanza di coscienza della situazione attuale. La politica è completamente dissociata dalla realtà; è come quella persona che continua a premere sull'interruttore della luce senza ricordarsi che la lampadina è fulminata. L'ordine simbolico che la politica vuole instaurare non ha niente a che vedere con la realtà delle moltitudini ed il codice di dominio che vuole instaurare non fa i conti con la realtà.
Pensiamo solo allo stile di vita americano: tutto il mondo vuole lo stile di vita americano, la libertà. E' l'economia bellezza, il sogno del capitalismo, la ricchezza delle nazioni. Ebbene eccoci qui, nell'occhio del sogno: un sogno fatto di uno spazio, e lo spazio è lo spazio pubblico ma anche quello privato, la casa, la casa dell'americano con il giardino e il garage. Ma quanto mi costi, sogno? Poco, perché io banca ti concedo un mutuo con rate più basse dell'affitto e cosi tu ti puoi comperare la casa dando i soldi alla banca invece dell'affitto al proprietario. Ma il tuo salario non è così certo, l'azienda dove lavori si è fusa con un'altra e tu sei un esubero e di qui te ne devi andare, riesci a guadagnare qualcosa ma non tanto per pagare la casa da 500.000 dollari che ti eri comperato. Allora la banca se la riprende ma te la valuta 400.000 dollari e poi non riesce a recuperare i crediti, e le altre banche chiedono di rientrare e la banca fallisce, e poi viene comperata da una altra banca con i soldi pubblici, un socialismo per i ricchi. E il tenore di vita cala e si comincia a parlare di recessione e c'è sempre quel buco nel sogno che assorbe tutte le energie: il black hole di ground zero.
Verrebbe da pensare che è attraverso quel buco che dobbiamo passare per costruire un altro immaginario come se questo in cui siamo fosse finto. Artur Rimbaud, in una stagione all'inferno, diceva che l'amore doveva essere reinventato.
E' così. Siamo di fronte ad una nuova stagione che non conosciamo, in cui i vincoli sociali devono essere ricombinati.
Le moltitudini non desiderano comunità di destini nè orizzonti lontani da raggiungere ma circolazione di affetti e passioni in una dimensione comune.
La produzione di spazi comuni è il nostro compito; spazi e tempi che non sono solo contenitori vuoti ma esperienze estetiche in cui si può vivere la bellezza dell'istante e collegarla ad altri spazi, ad altri tempi, in cui avviene l'esodo della moltitudine desiderante.
Sono queste le zattere di cui parla Bifo.
New York, 03.04.2008