Gli angeli son tutti tremendi
R.M. Rilke Elegie Duinesi. Seconda elegia
Il funzionamento delle équipe di lavoro è stato oggetto di molti studi ed è centrale per comprendere l’ideologia che ne caratterizza la forma.
E’ vero che il termine ideologia è caduto in disuso ma qui vogliamo riproporlo perché è una ideologia quella che sostiene che non c’è più storia, che non ci sono più ideologie.
E’ piuttosto l’ideologia dominante ad organizzarsi come pensiero unico che non ammette contraddizioni.
Questo pensiero unico ha strutturato un paradigma individualista che impone forme organizzative specifiche e produce una collezione di esempi che impediscono la comprensione di altre forme che sono all’opera nella realtà.
L’ideologie individualista ci appare sotto diverse forme che sono lo sviluppo dell’idea di un essere umano astratto, isolato dalla situazione, privo di vincoli.
Il Robinson Crusoe degli economisti classici che da solo costruisce la sua società, la monade di Leibniz, senza porte ne finestre, il nucleo senza oggetti (anogettuale) di Bela Grumberger o la “zona dell’io libera da conflitti” di Heinz Hartmann che su questa idea costruisce la psicologia dell’io.
Sigmund Freud invece è contradditorio perché accanto alla idea del narcisismo primario che troviamo in "Introduzione al narcisismo" (1914):
"Ci formiamo così il concetto di un investimento libidico originario dell'Io di cui una parte è ceduta in seguito agli oggetti"
"nella vita psichica del singolo l’altro è regolarmente presente come modello, come oggetto, come soccorritore, come nemico e pertanto in questa accezione più vasta ma indiscutibilmente legittima la psicologia individuale è anche fin dall'inizio psicologia sociale"
Dalla feconda contradditorietà del pensiero freudiano si sviluppano due linee distinte che pur intrecciandosi continuamente elaborano o "l'investimento originario dell'io" o "la regolare presenza dell'altro”.
Queste linee si riallacciano anche alla forma logica: la logica freudiana non è aristotelica o binaria, come si è visto viola il principio di non contraddizione perché parte dalla esperienza clinica e costruisce dei concetti attraverso delle ipotesi, un pensiero abduttivo come avrebbe detto C. S. Peirce ma anche dialettico.
Come dice Massimo Bonfantini.
La logica dialettica ci porta di nuovo alla ideologia ed in particolare a quel testo di Marx ed Engels che sarebbe dovuto rimanere alla critica dei topi, come dicevano loro.
Sto parlando della "Ideologia tedesca" ed in particolare di questo passaggio:
"Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante"
(cap. II)
Questa considerazione ci porta al nostro punto di partenza: è evidente che se l'idea guida è l'individualismo, le forme di organizzazione del lavoro, e quindi anche del lavoro in équipe, saranno basate sul principio dell'individuo astratto che si collega con altri individui secondo una logica binaria e non contraddittoria.
Questa, ad esempio, è la logica che guida l'organizzazione tayloristica del lavoro: la scomposizione delle azioni del processo lavorativo in movimenti semplici, la determinazione dei tempi standard per ogni movimento, poi la separazione fra linea e staff o fra lavoro esecutivo e lavoro direttivo.
La costruzione di una linea gerarchica è in funzione di una ideologia individualista che colloca al vertice di tutta l'organizzazione un individuo: un leader, una manager, un capo.
La piramide organizzativa prevede poi livelli diversi fino al livello base e collegamenti fra l'uno e l'altro livello per fare discendere gli ordini.
Se ci concentriamo sul modo in cui circola l'informazione in una organizzazione verticale possiamo vedere come ci sia una centralizzazione della informazione nel capo, e livelli sempre minori fino a quasi scomparire nel piano del lavoro manuale. Qui il lavoratore manuale non deve sapere nulla perché le sue mansioni scomposte possono essere effettuate senza pensiero, anzi debbono essere effettuate senza pensiero. Il pensiero, in questa organizzazione, è negativo, non si deve pensare, si deve eseguire.
E' nell'esercito che si esprime al massimo questa organizzazione. Gli ordini vengono trasmessi per linea gerarchica e l'ultimo livello deve solo eseguire, mai pensare.
L'essere umano non pensante è trasformato in una macchina, in questo caso il lavoro di équipe consiste nell'eseguire gli ordini.
La costruzione di queste macchine per uccidere viene descritta perfettamente nella prima parte del film di Kubrick, “Full Metal Jacket”.
Dunque, il paradigma individualista produce una organizzazione del lavoro e quindi una équipe di lavoro per linee verticali con una centralizzazione delle informazioni e con decisioni che seguono la via gerarchica. Anche la responsabilità discende dall'alto: possiamo dire che l'individuo è proprietario di un sapere che fonda l'organizzazione come gerarchia di potere che si automantiene.
Dal punto di vista della psicologia sociale analitica questo paradigma stimola una identificazione con il capo.
Il leader della organizzazione è (deve essere) oggetto di ammirazione per le sue capacità e così a cascata i vari leader di gruppo da cui promana l'ordine si identificano con il livello superiore e, se l'organizzazione funziona (questo tipo di organizzazione), crescono di grado secondo la carriera che quella organizzazione permette.
Questa formula organizzativa stimola il conformismo, seleziona gli individui più obbedienti e più disponibili ad assecondare il capo, non i più capaci o i più creativi.
Questo tipo di organizzazione produce una mentalità che viene (dovrebbe essere) internalizzata da ciascun individuo: come dice Freud, al posto dell'ideale dell'io si installa il capo, un capo ideale, un leader con le caratteristiche specifiche di quella organizzazione. Così, il funzionamento della organizzazione avviene per imitazione dei vari leader fino al leader che incarna la "mission" di quella specifica organizzazione che è sempre, tutto sommato, una crescita indefinita di potere, una accumulazione continua che accentra sempre più potere in un individuo che poi lo dovrebbe distribuire alla organizzazione secondo i livelli gerarchici.
Macchine
Felix Guattari ha elaborato il concetto di macchina che ci può servire in questa analisi del lavoro di équipe. La macchina che lui descrive è un insieme aperto costituito di concatenamenti di parti meccaniche, biologiche e psicologiche che contribuiscono a produrre una soggettività specifica per quella macchina nel senso che la macchina assoggetta la soggettività e per cosi dire la oggettivizza.
A questo proposito distingue anche i gruppi in "gruppi oggetto" e "gruppi soggetto".
I gruppi oggetto sono totalmente dentro la macchina, assumono la soggettività proposta da quella specifica forma organizzativa che, secondo la nostra analisi, è totalmente interna al paradigma individualistico e, dunque, si presenta come una identità posticcia, una protesi che si è installata nell'ideale dell'io, e se l'io si discosta da quell'ideale si sente in colpa perché trasgredisce una legge dell'organizzazione e dunque sarà disapprovato ma anche punito, potrebbe non avanzare nella carriera.
Quando l'etica si misura sull’approvazione o disapprovazione del capo, quando il valore è in funzione della obbedienza, la soggettività si costruisce lateralmente, negli interstizi di una macchina che non lascia nessuno spazio alla libertà.
Possiamo pensare a queste organizzazioni come a forme che vengono disposte in situazione a prescindere, come avrebbe detto Totò, dalle condizioni storico sociali.
Ordini da eseguire che concatenano parti meccaniche, elettroniche e biologiche, per ripetere sequenze di gesti, atti, comportamenti finalizzati in ultima analisi alla accumulazione di potere del soggetto che decide.
Queste macchine hanno un difetto, come ci ha ricordato Bertold Brecht:
Generale, il tuo carro armato è una macchina potente
Spiana il bosco e sfracella cento uomini.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un carrista.
Generale, il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido d’una tempesta e porta più di un elefante.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un meccanico.
Generale, l’uomo fa di tutto.
Può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto:
può pensare.
Queste macchine non vogliono il pensiero, funzionano attraverso stereotipi, pensieri a priori che vengono calati nella esperienza e che non apprendono dalla esperienza: ordini.
Si ripetono indifferenti nelle diverse situazioni.
La ripetizione indifferente delle sequenze diviene una forma cerimoniale, un rito che rassicura di fronte alla novità è una forma della logica che permette il deposito dell'ansia.
Di fronte all'irrompere del caos è meglio avere sequenze certe, comportamenti ripetuti, ordini: ORDINE.
Ma non bisogna mai dimenticare che l'ordine è un caso particolare del caos.
Una forma che si è determinata in una certa situazione non è detto che sia valida per una altra e diversa situazione, possiamo avere linee, tracce, non certamente protocolli di comunicazione se non vogliamo trasformarci tutti in C-3PO, il droide protocollare di “Guerre stellari”.
L'organizzazione del lavoro di cui parliamo non è più solamente l'organizzazione del lavoro nelle fabbriche, è da molto tempo che, per dirla con un vecchio saggio di Mario Tronti, la fabbrica si è estesa alla società e poi la società si è trasformata cambiando le proprie forme organizzative.
Anche l'organizzazione del lavoro è cambiata, non solo nella fabbrica ma anche nei servizi.
La certificazione di qualità
E' cambiato lo schema concettuale di riferimento perché si è introdotta l'idea di produzione e prodotto anche nel campo dei servizi. È il sistema della certificazione di qualità. Questo sistema ricerca una produzione standard e questa ricerca implica la costruzione di diagrammi di flusso per le attività che si svolgono, la scomposizione ed il controllo delle informazioni e delle azioni: è la svolta linguistica nell'economia di cui parla Cristian Marrazzi.
La forza lavoro in questa organizzazione post-fordista, deve usare la comunicazione, le azioni non sono solo scomposte ed usate per uno scopo generale come nella catena di montaggio taylorista, ma anche le parole entrano nel processo produttivo.
La parola, il linguaggio che si deve usare, è una neolingua orwelliana semplificata, adatta ad una produzione standard.
Questo sistema, in Italia, si è diffuso nelle equipe del sistema sanitario nazionale quando le Unità sanitarie locali che ne erano le unità di base sono state trasformate in Aziende.
Un esempio molto efficace di cosa abbia comportato questa “aziendalizzazione” nelle equipe di lavoro l'ha fatto Pier Francesco Galli quando ha raccontato la storia di un infermiere che suona la chitarra in un centro diurno di un servizio di salute mentale.
Questa è una risorsa che l'infermiere rende disponibile per il clima che si è creato in quella équipe di lavoro, ma non tutti gli infermieri suonano la chitarra, ed il suonare la chitarra non è previsto in nessun mansionario, né ci può essere una situazione standardizzata, anzi si può anche legittimamente pensare che l'infermiere che suona la chitarra di sua iniziativa disturbi l'esecuzione del prodotto atteso in quel servizio modificandolo a seconda di quando lui c'è o non c'è. Gli altri infermieri dovrebbero imparare a suonare la chitarra? E allora il prodotto non è più standard.
Conclusione: l'infermiere non suona più la chitarra e il servizio ha perso una importantissima risorsa indisponibile al flusso del prodotto standard ma fondamentale per il clima di lavoro della équipe all'interno di un centro diurno di salute mentale.
La forza materiale della ideologia
Dunque, l'ideologia individualista produce una collezione di esempi di paradigma che blocca e rende impossibile il pensiero di una diversa organizzazione del lavoro. E' la forza materiale dell’ideologia di cui ci ha parlato Wilhelm Reich; ma anche Antonio Gramsci quando descrive la funzione dell'intellettuale parla di come una ideologia non sia solamente una teoria che resta in un libro o rimane circoscritta in una accademia ma diviene una forza organizzativa dei rapporti sociali tramite gli insegnanti, i maestri elementari e tutti i funzionari che applicano quella ideologia nella loro vita quotidiana.
Gramsci ci dice che anche il senso comune, cioè l'insieme degli stereotipi che vengono usati nella comunicazione quotidiana, deriva dalle ideologie e si trasferisce in schemi concettuali e di riferimento, come direbbero Pichon-Rivière e Bauleo, che non derivano dall'esperienza, anzi funzionano da resistenza all'apprendere dall'esperienza.
Questo perché l'utilizzo degli atti cognitivi stereotipati in un flusso linguistico standard controlla il flusso produttivo in funzione della centralizzazione del potere.
L'organizzazione sociale per linee verticali riduce la competenza linguistica a formule base, il basic english; riduce il pensiero a formule compatibili con la produzione ed il consumo; controlla i corpi e le vite con dispositivi biopolitici ben descritti da Michel Foucault.
Tutti questi aspetti entrano in gioco quando si analizza il lavoro di una équipe.
Perché viene richiesta una consulenza da una equipe di lavoro?
Se è l'équipe a richiederla generalmente richiede un intervento perché c'è qualcosa che non funziona, uno o più elementi che ostacolano il lavoro: può essere una conflittualità eccessiva fra i membri della équipe, può essere un evento che non rientra nello schema di lavoro. Ad esempio, una volta siamo stati chiamati da un équipe di un reparto di oncologia perché piangevano per le persone che morivano.
La richiesta di solito viene presentata da un membro della équipe che Bauleo definiva "il gestore".
Dobbiamo sempre tenere presente che la richiesta è la parte manifesta della domanda ed il gestore è l'emergente di una situazione latente che non conosciamo. Nel primo incontro con il gestore si può avere solamente una immagine della domanda. Se, ad esempio, il primo colloquio viene effettuato con il richiedente e con qualche altro membro della équipe, si può avere una icona della situazione che troveremo quando si effettuerà l'intervento nel campo.
Il gestore rappresenta la situazione dal suo punto di vista, come un famigliare quando chiede un intervento per il paziente designato: fa una richiesta descrivendo l'equipe dal suo punto di vista e cercando implicitamente od esplicitamente una alleanza per controllare la situazione.
Per poter lavorare nel campo è dunque necessario organizzare un dispositivo che ci permetta di analizzare la domanda latente della equipe di cui la richiesta espressa dal gestore o i gestori, è la parte manifesta.
Quasi sempre i membri della equipe non sanno che il gestore ha preso contatto con un supervisore o una équipe di supervisione.
Ciò che distingue una supervisione istituzionale (come la chiama Armando Bauleo) da un intervento organizzativo è, in primo luogo, l'idea che la richiesta di un individuo che è collocato al vertice della piramide o in un altro livello non esaurisce la domanda del gruppo da cui proviene.
E’ una altra ideologia che noi chiamiamo gruppale.
Josè Bleger con la psicologia degli ambiti ci ha mostrato molto chiaramente che l'ambito individuale è contenuto in uno gruppale, che a sua volta è contenuto in uno istituzionale, che è contenuto dall'ambito comunitario. Noi pensiamo che ci sia anche un quinto ambito: quello della globalizzazione.
Quindi, per noi, la richiesta è un sintomo che va collocato nell’ambito che le è proprio, altrimenti non riusciremo ad interpretare la domanda latente, che non appartiene all'individuo ma al gruppo cui appartiene con il suo ruolo specifico.
L’assemblea
Dunque, la prima richiesta da fare ai gestori è la convocazione di una assemblea di tutti coloro che saranno implicati nel lavoro.
Questo passaggio è necessario per comprendere la domanda. Quando si fa una richiesta simile ai gestori sorgono sempre delle difficoltà:
ma come facciamo a fare venire tutti, ma dobbiamo fermare il lavoro, ma cosa c'entrano gli amministrativi?
e così via. Sono resistenze. Se è possibile, è bene convocare l'assemblea in una sede diversa da quella dove lavora l'equipe; questo perché lo spaesamento produce una maggiore libertà dalla implicazione istituzionale.
E' importante che anche i supervisori siano una équipe, quindi, al primo colloquio è bene essere almeno in due; poi si tratta di chiedere a tutti i partecipanti che cosa si aspettano dal lavoro di supervisione.
La resistenza alla analisi della domanda spesso si concentra sulla richiesta di fare incontri separati per diverse professionalità. Ad esempio, se si tratta di una equipe di un Servizio di salute mentale possono chiedere di vedere separatamente gli psicologi, i medici, gli infermieri, le assistenti sociali, gli educatori, come se la domanda potesse essere declinata per ruoli professionali.
Questa è una altra resistenza che va vinta.
L'assemblea iniziale marcherà il clima di tutto l'intervento.
E' importante, chiedere a tutti cosa si aspettano dalla supervisione, ascoltare e trascrivere ciò che viene detto, tutti devono dire cosa si aspettano. Questa tecnica è fondamentale per istituire un clima che permetta a tutti la presa di parola.
Così le gerarchie interne rimangono interne e non possono impedire la presa di parola che è esplicitamente autorizzata dalla equipe di supervisione.
Questo lavoro mette in evidenza elementi nascosti, a volte volontariamente ma quasi sempre involontariamente, dai gestori che si sono fatti carico della richiesta. Un operatore, che non si è mai sentito valorizzato, che ha sempre pensato che nessuno sarebbe stato interessato al suo parere, sente che invece quel parere è interessante al di la della gerarchia dei poteri e delle discipline. Così si comincia a valorizzare l'esperienza sul campo del gruppo di lavoro. Di quella specifica equipe, non di un’altra. A volte, con questo metodo, si scopre che l'equipe non si era mai vista in assemblea, si scopre cioè che il metodo di lavoro di quel servizio non prevede, non ha mai previsto una riunione di tutti gli operativi. Si scopre che l'informazione circola per linee verticali e che i membri della equipe non si conoscono fra di loro; a volte non conoscono neanche il nome o lo conoscono a mala pena, nonostante lavorino assieme da vari anni.
Presentazione ed elaborazione del progetto
Nel primo incontro, i supervisori si presentano rendendo noto a tutti gli intervenuti da chi sono stati interpellati per cominciare un lavoro di supervisione e che hanno chiesto di incontrare in forma assembleare tutti i membri della équipe per capire quali siano le esigenze di ciascuno. Alla fine di questo primo incontro verrà formulato un progetto che sarà inviato per l'approvazione alla assemblea. In mancanza di una approvazione della assemblea non si potrà iniziare l'attività.
Questo passaggio è fondamentale per installare un dispositivo che mantenga una certa distanza dai gestori e che permetta ai supervisori di collocarsi in un altro vertice rispetto alla dimensione gerarchica della équipe.
La supervisione istituzionale corre sempre il rischio di essere vissuta in funzione del potere, quindi, o come un supporto alla idee della dirigenza o contro, invece il dispositivo che costruiamo è in funzione della analisi del compito di quella équipe.
Infatti ciò che è importante analizzare in una équipe è il vincolo che si è istituito con il loro compito.
Nell'incontro iniziale, oltre a chiedere che cosa si attendono dal nostro intervento, è importante chiedere a tutti quale è, per loro, il compito di quella équipe.
Questa domanda metterà in evidenza i modi diversi di intendere il compito, a volte molti non sanno qual è il loro compito o qualcuno dice una cosa e qualcun altro un'altra; qualcuno si riferisce al compito istituzionale, qualcun altro intende il compito in un altro modo e così via.
Ad esempio, in un servizio di salute mentale qualcuno può esplicitare un compito terapeutico e qualcun altro un compito di controllo sociale.
Il dispositivo porrà l'equipe di lavoro nella forma del gruppo operativo e cioè di un gruppo centrato sul compito.
Per Pichon-Rivière un gruppo è fondato dal compito, è il compito a convocare gli integranti del gruppo, e il compito può avere un aspetto terapeutico o di apprendimento, per questo ciò che distingue un gruppo terapeutico da un gruppo di apprendimento è solo il compito.
Una équipe si distingue da un gruppo operativo per la forte presenza della componente istituzionale.
Dalla équipe sulla carta alla équipe sul campo
Infatti, nel caso della équipe, i ruoli sono pre-determinati: ad esempio, il parlamento di uno stato approva una legge di riforma psichiatrica che stabilisce la formazione di servizi territoriali di psichiatria dotati di una équipe multidisciplinare che comprende medici-psichiatri, infermieri, psicologi, assistenti sociali, educatori. Poi le singole regioni organizzano i servizi assumendo il personale e definendo le responsabilità ed il campo di lavoro delle équipe.
Poi il singolo servizio è organizzato, l'équipe non è più sulla carta ma diviene concreta; è “quella” équipe, in quel territorio con quegli integranti. Così l'équipe A sarà diversa dalla équipe B anche se hanno il medesimo compito. L'équipe può essere anche una équipe di football: tutte hanno il compito di fare gol ma hanno un gioco diverso. I ruoli sono gli stessi: portiere, difensore, attaccante, ecc., ma è diverso il modo di impersonarlo a seconda del gioco della squadra e dello stile del giocatore.
Una équipe è anche una compagnia di teatro che vuole mettere in scena una pièce, ad esempio Amleto: in questo caso i ruoli sono pre-definiti dal copione ma l'interpretazione del ruolo presenta una gamma di differenze infinita che può andare da Laurence Olivier a Carmelo Bene.
Quindi, spesso, la domanda latente alla richiesta di supervisione o formazione, in ogni caso di intervento da parte dei gestori, è la domanda di fare prendere coscienza alla équipe di essere quella équipe specifica che lavora in quello specifico territorio.
A questo proposito, dobbiamo fare riferimento a come vi sia una frattura netta fra teoria e prassi; mi riferisco al fatto che il lavoro nel territorio o sul campo è un lavoro che produce esperienza, e questa esperienza a volte contraddice la teoria, ma le équipe che lavorano sul campo non riescono ad apprendere dalla esperienza, come direbbe Bion.
Si presenta un ostacolo epistemologico alla costruzione di uno schema concettuale di riferimento operativo, questo perché c'è uno schema concettuale di riferimento che blocca l'operatività perché non è centrato sul compito ma sulle appartenenze disciplinari.
Questo è un problema molto complesso da analizzare ma di solito è il problema centrale che impedisce alle équipe di funzionare come gruppo operativo.
Alcuni esempi
In Italia, in un servizio di salute mentale dopo la chiusura dei manicomi affluiscono casi mai visti e mai descritti nella clinica psichiatrica. Questa clinica si basa su di una casistica che emerge in situazioni socio-culturali caratterizzate dalla presenza del manicomio, una clinica psichiatrica post-manicomiale, va da se che è osservabile in realtà in cui il manicomio è stato abolito.
Ma, in Italia, dove questa riforma si è realizzata non c'è stata la costruzione di una clinica psichiatrica post-manicomiale, cioè una clinica che elaborasse la realtà clinica dei servizi territoriali.
Nelle università, le scuole di specialità non sono state capaci di collegare l'esperienza clinica, la prassi, con la teoria che sarebbe servita per la formazione di nuovi psichiatri funzionali alla psichiatria senza manicomi. Ha provato, in parte, la scuola di specialità di Bologna, alla cui fondazione partecipò Armando Bauleo con un intervento di formazione della équipe, e poi con Alberto Merini che collegava il lavoro clinico nel servizio territoriale con l'insegnamento di psicoterapia. Ma è stata una esperienza che ora è interrotta.
La elaborazione delle esperienze pratiche si è interrotta e si è prodotta una frattura fra pratica senza teoria e teoria senza pratica.
E' chiaro che quando si produce uno spazio che è dato dalla riunione di una équipe di lavoro di salute mentale italiano emergeranno dei casi su cui possono prendere parola non solo gli psichiatri ma anche gli infermieri, gli assistenti sociali, gli psicologi, gli educatori, e così il caso perderà le caratteristiche “psichiatriche” per assumere quelle di un situazione o meglio ancora di un momento della vita che è compreso non solo in un ambito individuale, ma anche in quello famigliare, istituzionale e comunitario.
Ora, questa complessità che emerge nella pratica clinica e che vede coinvolti famigliari, luoghi istituzionali, mentalità della comunità in un intreccio di vincoli non è descritta in nessun manuale di psichiatria, anche perché non è psichiatria ma salute mentale.
La nostra scuola sta lavorando su questa nuova clinica.
I casi, come dicevo, contraddicono il sapere accademico.
Questa è la situazione che si trova di fronte chi interviene chiamato da una équipe che lavora sul campo: una quantità di esperienza che non si riesce a concettualizzare, i concetti che vengono utilizzati sul campo non sono operativi per quella situazione, anzi, come dicevo, funzionano da ostacolo. Continuo con l'esempio della psichiatria: qui, un concetto che funziona da ostacolo è la diagnosi psichiatrica. Questa diagnosi, effettuata con i criteri del DSM IV, il manuale diagnostico statistico, viene applicata al singolo in una lettura psicopatologica che codifica o meglio ricodifica, secondo un ordine definito, la sofferenza mentale e codifica questa sofferenza cristallizzando il ruolo del paziente designato ed identificando il malato con la malattia.
Ma tutta l'esperienza delle équipe territoriali smentisce questa identificazione.
E’ evidente che la sofferenza si estende nel gruppo famigliare e nella rete vincolare che lo sostiene, nelle istituzioni che lo contengono e nella mentalità comunitaria in cui vive.
Ma se mancano i concetti, se la pluralità dei vincoli e la molteplicità dei mondi debbono ricondursi al principio di individuazione, alla ideologia dominante, ecco che tutto ciò che contraddice questo principio viene considerato come un disturbo e i dati che attraversano il campo vengono organizzati secondo il principio gerarchico delle discipline.
Così, la diagnosi è appannaggio dei medici che detengono anche il potere della terapia. Ma diagnosi e terapia sono all'interno di uno schema concettuale che è pre-determinato rispetto alla équipe che sta lavorando sul campo.
E' necessario vedere che cosa significa, per quella specifica équipe, “diagnosi” e “terapia”, e si tratta di coinvolgere in questo lavoro tutte le professionalità che la compongono.
In sostanza, se l'équipe ha una sua pratica, ha sicuramente uno schema concettuale di riferimento operativo, ma è uno schema latente di cui l'équipe come gruppo non ha coscienza.
Dalla richiesta alla domanda
Come ho detto molte volte, la richiesta di intervento ci fa rendere conto che la domanda è una domanda di poter lavorare come un gruppo operativo e quindi di essere messi in grado di apprendere dall'esperienza e dunque di fabbricare i propri concetti, ossia di produrre teoria, di fare filosofia, come direbbero Deleuze e Guattari: cioè, fabbricare concetti. In ultima analisi chiedono di pensare a ciò che fanno con la propria testa e non con schemi importati.
Ma se è chiaro che il compito di chi è chiamato è di pensare con l'equipe, non per l'equipe, non è facile superare gli ostacoli che si presentano.
Pichon-Riviere e Bauleo individuano tre momenti nella produzione di un gruppo e dunque anche di una equipe che funzioni come gruppo operativo. La prima fase è il pre-compito, la seconda il compito, la terza il progetto.
Non c'è un rapporto lineare fra le fasi, si passa dal pre-compito al compito e a volte al progetto poi si ritorna in pre-compito. Quasi sempre il momento importante è il passaggio dal pre-compito al compito. In questa fase emergono le resistenze al lavoro di gruppo, resistenze di tipo emotivo: il compito viene vissuto come generatore di ansia, in particolare, una situazione nuova che si presenta produce una ansia paranoide, si ha paura di essere attaccati dalla nuova situazione ed allora ci si attacca agli schemi abituali per difendersi dalla novità,questi schemi non sono sempre capaci di comprendere una situazione nuova, del resto c'è il timore che la situazione nuova faccia abbandonare i vecchi schemi e produca una ansia depressiva che si caratterizza con la paura di perdere le sicurezze ed anche l'identità, una identità professionale, un potere di parola.
Ma spaventa anche la confusione, la paura di non avere punti di riferimento, di fondersi con il compito senza riuscire a mantenere una giusta distanza.
Allora ci si mantiene ad un livello generico, la comunicazione è superficiale e formale, i conflitti appaiono sopiti, domina l'atteggiamento come se, come se tutto funzionasse, come se la domanda di intervento fosse solamente una richiesta di ascolto, ed il coordinatore chiamato dall'esterno fosse un professore universitario che deve “mettere i voti” agli intervenuti che espongono la loro conoscenza secondo le appartenenze disciplinari. Si fa come se si fosse all'Università, ma non si è nell'università. Siamo sul campo, ci sono diverse situazioni che non appaiono perché la resistenza del pre-compito ne impedisce la comparsa.
L’analisi delle resistenze
E la forma che assume la resistenza al compito è data dalla appartenenza ai ruoli predeterminati dall'assetto istituzionale, uno è responsabile, altri sono in aiuto del responsabile altri ancora lavorano ma hanno ruoli più defilati rispetto alle responsabilità istituzionali. Come la presenza dei responsabili istituzionali, che a volte corrispondono con i gestori che hanno formulato la richiesta di intervento, ma a volte no,condizioni la comunicazione lo si può vedere già nel primo incontro, per esempio ci può essere reticenza a parlare.
Si può vedere dal gioco degli sguardi ad esempio quando qualcuno che non si ritiene autorizzato a parlare viene interpellato e guarda, con uno sguardo interrogativo il suo responsabile istituzionale come se chiedesse l'autorizzazione a parlare, il responsabile può rispondere con un cenno del capo che è possibile parlare salvo poi intimidire con uno sguardo se si affronta un argomento per lui scottante.
Altre volte il responsabile istituzionale chiede di avere un rapporto sull'andamento dei lavori, un rapporto riservato. Se si cade in un tranello di questo genere si trasforma l'intervento in una manipolazione in funzione del potere. Se il responsabile fa questa richiesta è necessario specificare a tutti che le riflessioni e l'elaborazione dei lavori verranno inviati a tutti e non solo al responsabile.
E' bene pensare, già da subito, nella progettazione dell'intervento ad una assemblea finale con la restituzione del materiale elaborato dai supervisori istituzionali così la comunicazione finale per tutti sarà prevista nell'inquadramento dell'intervento e si potrà interpretare la fantasia che il supervisore comunichi con il responsabile.
Durante l'intervento sarà importante chiarire che i supervisori sono tenuti al segreto professionale e che i partecipanti si regoleranno come meglio credono.
La resistenza al passaggio dal pre-compito al compito non è solamente data dai ruoli istituzionali ma anche dalle appartenenze disciplinari che entrano in conflitto nella interpretazione del compito della equipe, in generale il conflitto viene risolto sulla base di gerarchie attribuite dalla istituzione di appartenenza che raccoglie un mandato sociale che a sua volta deriva da un senso comune che, come abbiamo visto è il risultato della ideologia dominante trasferita nella vita quotidiana. Se attualizziamo l'analisi gramsciana possiamo dire che il senso comune è prodotto dai media mainstream.
Epistemologia convergente e ricombinante
La gerarchia disciplinare attribuisce il potere al pensiero medico, poi agli altri.
Così la diagnosi medica peserà di più nella costruzione dello schema concettuale di riferimento operativo. Ma a volte, questa “diagnosi” utilizza concetti che ostacolano l'operatività per cui si può produrre un conflitto fra vari concetti che derivano ad esempio dalla psicologia, dalla sociologia dalla pedagogia. I diversi concetti sono indossati come emblemi di diverse appartenenze disciplinari in una lotta per l'egemonia della equipe che ostacola il passaggio dal pre-compito al compito. In buona sostanza gli integranti della equipe quando sono in questo momento sdottoreggiano ognuno nel loro campo disciplinare ma non riescono a produrre schemi operativi. Tutto è bloccato.
A questo proposito Pichon-Riviere ha elaborato l'epistemologia convergente che è l'epistemologia operativa e non accademica, una epistemologia che si applica nel campo di lavoro.
Questa epistemologia anziché incentrarsi sulle differenze fa convergere i diversi campi disciplinari attorno al compito operativo ed utilizza i concetti delle diverse discipline in una dimensione transdisciplinare. La nostra scuola utilizza il concetto di ricombinazione per riferirsi ad un processo che concatena diverse esperienze e teorie per produrre un nuovo schema concettuale di riferimento ed operativo per quella equipe specifica. Uno schema concettuale che non è importato dall'esterno ma è il risultato della elaborazione creativa della esperienza di quella specifica equipe.
L'elaborazione di questo schema è il risultato del lavoro di supervisione istituzionale.
Il passaggio dalla fase di pre-compito al compito è ostacolato anche dalla burocrazia dei protocolli e dei ruoli posticci imposti dall'esterno, spesso quei ruoli non corrispondono alla reale pratica di quella specifica equipe ma per conoscere quale è la pratica di quella equipe è necessario conoscerne la storia ma la storia non è presa in nessuna considerazione dalle organizzazioni basate sul controllo. Queste forme, come si è detto, non considerano l'aspetto affettivo, non sanno che la circolazione di informazione è anche circolazione libidica ignorano che certe difficoltà e certi ostacoli possono essere l'effetto di lutti non elaborati di antichi integranti della equipe che sono stati allontanati o che hanno avuto scontri con altri. L'aspetto affettivo non è contemplato così come non sono contemplati i vincoli fra gli integranti e fra l'equipe ed il proprio compito, né è considerato il vincolo con l'esterno e con il mandato sociale.
La storia attraverso le storie
Uno dei momenti del lavoro con l'equipe sarà prendere coscienza della dimensione storica. Questo si fa dando spessore e importanza alle storie che vengono raccontati nei corridoi. Si fa attribuendo significato alle narrazioni dei singoli.
Il materiale delle microstorie diviene così patrimonio comune dello schema concettuale della equipe.
Ad esempio, in un dipartimento di salute mentale dell'Italia centrale, di cui facevamo la supervisione, ci viene comunicato in un incontro che un integrante sarebbe andato in pensione, questo integrante,medico psichiatra, aveva cominciato a lavorare durante la fondazione del servizio psichiatrico territoriale e conosceva la storia del passaggio dalla psichiatria manicomiale a quella territoriale.
Questa dimensione storica non era presente agli integranti del dipartimento.
Abbiamo pensato di organizzare un dispositivo per raccontare la storia. Lo psichiatra ha raccontato la sua storia ed ha portato con se alcuni vecchi infermieri in pensione che hanno raccontato le loro storie agli integranti attuali del dipartimento. Poi sono stati fatti dei gruppi operativi per elaborare i racconti ed alla fine un’ assemblea per discuterle assieme.
In questo lavoro è emerso prepotentemente la forza del cambiamento forza di cui gli integranti del dipartimento non erano consapevoli, non sapevano che stavano continuando quel lavoro. In particolare ci ha colpito il racconto di un’infermiera che ha narrato la storia di una signora rinchiusa da più di venti anni in manicomio. Questa signora uscì per la prima volta con l’ infermiera per una gita in pulmann e l'infermiera ricorda che guardando dal finestrino le disse:
“come è grande il mondo!”.
Ecco in quell’ affermazione c'è tutta l'efficacia del lavoro di de-istituzionalizzazione, ma anche la passione attiva di essere coinvolta in un progetto che supera l'aspetto individuale.
Questa storie si possono, si devono trasmettere perché l'equipe che sta lavorando ne sia cosciente.
Processi istituzionali
Dunque l’intervento provocherà nella equipe un processo istituzionale.
L’aspetto istituito, i ruoli definiti sulla carta e dall’esterno,lo stesso compito istituito, sarà messo in tensione con un aspetto istituente provocato dalla presa di coscienza della equipe di essere un gruppo operativo che lavora nel campo.
L’equipe ci si presenta con la dimensione orizzontale nel presente, con il nostro lavoro esplicitiamo la dimensione verticale,storica, e diamo valore alla dimensione trasversale che è la capacità di lasciarsi attraversare da problematiche esterne al campo di lavoro come la mentalità della comunità o gli effetti del processo di globalizzazione.
Come dice Horacio Foladori il successo di un intervento di questo genere per la formazione di una equipe di lavoro sta nella capacità di lasciare una fessura (fisura) che rimarrà nella istituzione e sarà il varco che permetterà a quella istituzione di non istituzionalizzarsi cioè di non trasformarsi in un apparato burocratico che ha come unico scopo il proprio automantenimento così come è stato descritto da Georges Lapassade in gruppo organizzazione e istituzioni:
l’organizzazione non è più un mezzo ma un fine.
Noi interveniamo con dei dispositivi che aprono spazi specifici in cui le equipe possono uscire dalla ideologia individualista e dalla organizzazione fine a se stessa per lavorare sul proprio compito. Ma la presa di coscienza, il libero pensiero si accompagna con la possibilità di un conflitto, può emergere che il compito che l’equipe approfondisce non sia lo stesso della istituzione e cioè che compito gruppale e compito istituzionale non coincidano come ha mostrato Marta de Brasi.
Ma noi non pensiamo che il conflitto sia da evitare perché sappiamo che la vita è un continuo conflitto di differenze.
15 gennaio 2011
Bibliografia
Armando Bauleo - Ideologia gruppo e famiglia, Feltrinelli
Armando Bauleo - Note di Psichiatria e Psicologia sociale, Pitagora
Armando Bauleo, Marta de Brasi - Clinica Gruppale e Clinica Istituzionale ,Il Poligrafo
Josè Bleger - Psicologia della Conducta, Paidos
Bela Grumberger - Il narcisismo, Laterza
Heinz Hartmann - La psicologia dell'io, Boringhieri
Sigmund Freud - Introduzione al narcisismo, Boringhieri
Sigmund Freud - Psicologia delle masse e analisi dell'io, Boringhieri
Massimo Bonfantini, Bruno Brunetti, Augusto Ponzio - Freud. L'analisi la scrittura, B. A. Graphis
Karl Marx, Friederich Engels - L'ideologia tedesca, Editori Riuniti
A. Gramsci - Quaderni dal carcere, Einaudi
Charles S. Peirce - Opere, Bompiani
Frederick W. Taylor - The principles of scientific management, Books Google
Felix Guattari - Una tomba per Edipo, Bertani
Gilles Deleuze, Felix Guattari - Che cos'è la filosofia, Einaudi
Gilles Deleuze - Differenza e Ripetizione, Cortina
Bertold Brecht - Poesie, Einaudi
Mario Tronti - Operai e capitale, Einaudi
Cristian Marrazzi - Il posto dei calzini, Bollati Boringhieri
Pier Francesco Galli - Comunicazioni personali
Leonardo Montecchi - Varchi, Pitagora
Leonardo Montecchi - Officine delle dissociazione, Pitagora
George Orwell - 1984, Mondadori
Wilhelm Reich - Psicologia di massa del fascismo, Mondadori
Enrique Pichon-Riviere - Il processo gruppale, Lauretana
Georges Lapassade - Groupes, organisations et institutions, Antropos
Michel Foucault - Storia della follia, Rizzoli
Wilfred Bion - Apprendere dall'esperienza, Armando
Alberto Merini - Psichiatria nel territorio, Feltrinelli
Horacio Foladori - La intervención Institucional, Arcis
(Articolo tratto da 'Cuadernos de temas grupales e istitucionales', n. 16, Inverno 2012, www.area3.es.org)